GASTRONOMIA IN PILLOLE

A CURA DI LUIGI FARINA

curiosità, storia, letteratura, ...

Gastronomia in pillole
a cura di Luigi Farina

curiosità, storia, letteratura, ...

In questo spazio Luigi Farina ci racconterà curiosità, aneddoti, storia, ..., del cibo e della gastronomia, inserendo anche dei brani tratti dalla letteratura.

INDICE


La Cuscina der Papa dai Sonetti romaneschi di Giuseppe Gioacchino Belli - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


I Timballi del Gattopardo - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Una buona forchetta - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Pranzo di Natale in Svezia di Guglielmina Larsson - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


La "Dieta" di Aldo Fabrizi - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Arancina o Arancino, l'antica diatriba fra Palermo e Catania arriva pure a questo...


Antipasto alla siciliana - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Liquori fatti in casa di Gaetano Basile - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Le camomille di Talleyrand di Gino Adamo - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Zeno partecipa ad un triste banchetto - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Antico Perù - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Una Ricetta tutta da provare - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Banchetto alla corte pontificia di Avignone - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Storie di cibo: Sarde a beccafico raccontate da Gaetano Basile - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Storie di cibo: Il Cacio all'argentiera raccontato da Gaetano Basile - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


L'uvetta nei dolci - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Ogni musica con la sua cucina: Menu Bossa Nova alla Carmen Consoli - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Musica e cucina: Paola Turci, fantasia e sperimentazione - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Fabrizi e la pastasciutta - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


L'Acquaiola di Totò - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Cibo e sesso da Afrodita - Racconti, ricette e altri afrodisiaci di Isabel Allende - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Uno Chef unico e particolare da "La mia Africa" di Karen Blixen - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Le panadas o impanadas sarde - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Storia di vini: Come nasce il Barolo di Gino Adamo - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Le arance siciliane, da un articolo di Gaetano Basile - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Un papa sommelier - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


I nove gradini del bere - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Buono come il pane - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Modi di dire "culinari": uova e frittate - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


I 3 condimenti del brodetto di Licurgo - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Giornata della "salsa" (Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina)


La Parmigiana di melanzane raccontata da Gaetano Basile - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Carne nobile - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Ricetta inserita su spaghettitaliani.com da Pasquale Amendola: Parmigiana di pollo


Ricetta inserita su spaghettitaliani.com da Enzo Coccia: Pizza ai 4 pomodori


Ricetta inserita su spaghettitaliani.com da Rosaria Spadaro: Bucatini al coniglio


13 Dicembre Santa Lucia a Palermo: Festival delle Arancine


Cassata e cannoli palermitani raccontati da Gaetano Basile - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Birra e sandwich al Quai des Orfèvres tratto da Maigret e il Lettone di Georges Simenon - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Come Bacco scoprì il vino - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Il ragù domenicale napoletano tratto da "Sabato, domenica e lunedì" di Eduardo De Filippo - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Un pranzo luculliano? Secondo i punti di vista, tratto da I Tre Moschettieri di Alessandro Dumas - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


"Pani ca' meusa" raccontato da Gaetano Basile - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


L'Acquavitaro tratto da "Estati felici" di Fulco Santostefano della Cerda, Duca di Verdura - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


De re coquinaria di Marco Gavio Apicio - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Pranzo pantagruelico alla corte di Milano di Gino Adamo - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Palermo è... il pane da: "Palermo è ..." di Gaetano Basile - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


La cucina degli Etruschi - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Il rito della tranquillità - La cura del volto tratto da "Trattato di culinaria per donne tristi" di Hèctor Abad Facioline - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


L'odore delle mele (da "La prima sorsata di birra e altri piccoli piaceri della vita" di Philippe Delerm) - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Il caffè napoletano (da "Questi Fantasmi" di Eduardo De Filippo) - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Risotto alla Cavour - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Canto di una pentola (da "Il grillo del focolare, racconto casalingo di fate" di Carl Dickens) - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Totò e la cucina (dai film di Totò) - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Ammostata romana (Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina)


Memorie di un gelato a Palermo (Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina)


Gastronomia in Pillole a cura di Luigi Farina

Cibo e sesso da Afrodita - Racconti, ricette e altri afrodisiaci di Isabel Allende - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


... La gola e la lussuria, che ci inducono a tante pazzie, hanno la stessa origine: l'istinto di conservazione. Il vincolo tra il cibo e il piacere sessuale è la prima cosa che impariamo quando nasciamo. Le sensazioni del lattante attaccato al capezzolo, immerso nel calore e nell'odore della madre, sono puramente erotiche e lascia una traccia indelebile per il resto della vita. Dall'allattamento alla morte, cibo e sesso rappresentano un ineludibile richiamo. Nella maturità, quando digerire e fare l'amore diventano una fatica, la mente si allontana a denti stretti dal tavolo e dal letto; ma ci sono persone capaci di arrivare fino all'ultimo giorno di un'intensa esistenza con lo stesso appetito della gioventù per i piaceri terreni. Questi formidabili anziani, come Abramo, Mao, Picasso, Degas, Chagall e milioni di nonne silenziose che per essere donne non sono passate alla storia, mi suscitano una terribile invidia. ...

tratto da Afrodita - Racconti, ricette e altri afrodisiaci di Isabel Allende

Uno Chef unico e particolare da "La mia Africa" di Karen Blixen - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


In questo romanzo autobiografico la scrittrice danese descrive la sua vita sull'altopiano africano del Ngong. Fra i personaggi descritti uno fra i più simpatici è Kamante, bambino indigeno malato che dopo essere stato curato da Karin, ha tanto spiccata la passione per la cucina, nonostante non sapesse leggere e non conoscesse l'inglese, diventò un eccezionale chef.


...Ma come chef era tutt'altra cosa, un vero fuori classe. La natura, lí, aveva fatto un guizzo, saltando a piè pari ogni legge di precedenza fra capacità e talento; come sempre nella genialità, c'era qualcosa di mistico e inspiegabile. In cucina, Kamante aveva tutti gli attributi del genio compresa la sua condanna, l'impotenza dell'uomo di fronte al suo stesso potere. Se fosse nato in Europa e avesse avuto un maestro intelligente, sarebbe diventato un uomo famoso, un personaggio pittoresco della storia. Anche in Africa si era fatto un nome: il suo atteggiamento verso la culinaria era quello di un grande artista.

Io stessa ero appassionata di cucina: tornando per la prima volta in Europa avevo preso lezioni dallo chef di un noto ristorante francese. Sarebbe stato divertente poter preparare dei buoni piatti in Africa, pensavo. Vedendo il mio entusiasmo, lo chef, Monsieur Perrochet, mi aveva proposto persino di dirigere il ristorante insieme a lui. Quando scoprii Kamante, quella specie di genio familiare che lavorava al mio fianco, mi riprese l'amore per la cucina. Lavorare insieme con lui mi apriva dei vasti orizzonti: scoprire in un selvaggio l'istinto innato per la nostra atre culinaria mi pareva miracoloso. Giungevo a giudicare la nostra civiltà da un punto di vista completamente diverso: forse era davvero divina e predestinata. Mi sentivo come l'uomo che riacquistò la fede in Dio perché un frenologo gli indicò la sede dell'eloquenza teologica nel cervello umano; se si poteva dimostrare l'esistenza dell'eloquenza teologica, si dimostrava anche l'esistenza della teologia e, in ultima analisi, l'esistenza di Dio.

In tutte le questioni culinarie ' Kamante era di una straordinaria abilità manuale. I grandi trucchi e i tours de force della cucina erano giuochi da bambini per quelle sue mani nere e curve, che avevano innata la scienza delle omelettes, dei vol-au-vents, delle salse e della maionese. Possedeva un dono speciale per rendere le cose piú leggere, come, nella leggenda, il bambino Gesú plasma uccelli dalla creta e li fa volare. Disprezzava tutti gli strumenti complicati, forse non sopportando che agissero con troppa indipendenza; quando gli comprai una macchinetta per sbattere le uova la lasciò arrugginire in un angolo, continuando a montare le chiare con una specie di trinciante per le erbacce: riusciva a farle torreggiare come nubi. Possedeva un occhio di cuoco penetrante ed ispirato, capace di scegliere il pollo piú grasso dell'intero pollaio, e se soppesava gravemente un uovo sapeva quando era stato fatto. Faceva di tutto per migliorare la mia tavola, cercando di procurarsi con mille sistemi gli ingredienti piú raffinati. Tramite un suo amico che lavorava da un medico, molto lontano dalla fattoria, mi portò i semi di una lattuga veramente squisita, come io stessa per anni non ero riuscita a trovare.

Aveva una memoria eccezionale per le ricette. Non sapeva leggere e non conosceva l'inglese, e i libri di cucina non gli servivano a nulla, ma doveva aver ammassato nella sua goffa testa, con una sua sistematica personale per me incomprensibile, tutto ciò che gli avevamo insegnato. Ogni pietanza, nella sua fantasia, portava il nome di un avvenimento accaduto il primo giorno che l'aveva fatta: parlava della salsa dell'albero colpito dal fulmine e di quella del cavallo grigio morto. Ma non le confondeva mai l'una con l'altra.

Una cosa sola non riuscii mai a fargli capire: l'ordine in cui dovevano essere servite le pietanze durante i pasti. Se avevo ospiti ero costretta a disegnargli una specie di menú figurato: prima un piatto fondo per la minestra, poi un pesce, poi una pernice o un carciofo. Secondo me non era che non riuscisse a ricordarsene, ma probabilmente, in cuor suo, pensava che tutto ha un limite e che non vale la pena di perdere tempo per una sciocchezza.

E' emozionante lavorare con un demone. Teoricamente comandavo io, ma mentre stavamo accanto, fra i fornellì, avevo la sensazione che non solo la cucina, ma tutto il nostro mondo passasse pian piano nelle mani di Kamante. Là dentro capiva a volo cosa volessi, e non sbagliava mai: a volte addirittura preveniva i miei desideri. Rimase sempre un mistero, per me, il meccanismo, o piuttosto la fonte, di tanta bravura. Mi sembrava strano che si potesse raggiungere tanta perfezione in un'arte di cui non si capiva il vero significato e per cui si aveva solo disprezzo.
Spesso non aveva la piú pallida idea del sapore dei piatti che preparava: malgrado la sua conversione al cristianesimo e i suoi legami con la civiltà, in fondo al cuore era un autentico kikuyu, radicato nella tradizione della sua tribú e nella fede che aveva in essa, l'unico modo di vivere degno di un essere umano, per lui. Talvolta saggiava le pietanze che aveva cucinato, ma sempre con la faccia sospettosa d'una strega che beva un sorso della sua broda. Lui restava fermo alla pannocchia di mais dei suoi padri. Su quell'argomento diventava persino stupido ed era capace di offrirmi una leccornia kikuyu - una, patata dolce arrostita o un pezzetto di grasso di pecora - come certi cani civilizzati, abituati alla compagnia dell'uomo, depongono dinanzi all'ospite un osso come un gran regalo. In cuor suo, probabilmente, considerava pazzesche tutte quelle smanie per la cucina. Tentavo di fargli dire il suo pensiero, ma mentre di tante cose parlava a cuore aperto, per altre non c'era verso di cavargli una sillaba di bocca; cosí si lavorava fianco a fianco, in cucina, e ognuno si teneva le sue convinzioni sull'importanza della culinaria.

Lo mandai a fare pratica al Club Muthaiga e dai cuochi di quelli fra i miei amici di Nairobi dove avevo mangiato qualche buon piatto che non conoscevo. Quando ebbe finito il suo tirocínio, la nostra casa, con mia grande gioia, divenne famosa in tutta la colonia per la sua tavola. Volevo un pubblico, per la mia arte, ed ero felice di invitare a pranzo i miei amici. Ma Kamante. pur non dimenticando mai i gusti dei miei ospiti piú cari, non si curava delle lodi di nessuno. «Per Bwana Berkeley Cole farò il pesce col vino bianco», diceva con aria grave, come si riferisse ad un mentecatto. « Il vino lo manda lui stesso ». Per avere il parere di un'autorità invitai a pranzo un mio vecchio amico di Nairobi, Charles Bulpett. ... Fu una gioia, per me, averlo a cena alla fattoria; c'è un piacere particolare nell'offrire un buon pranzo cucinato con le proprie mani a qualcuno per cui si ha veramente simpatia. In cambio mi confidò, fra l'altro, le sue idee sulla cucina, e su molte altre cose, assicurandomi di non aver mai mangiato meglio in vita sua.

Anche il principe di Galles mi fece l'onore di venire a cena da me, e di complimentarmi per una salsa Cumberland. Fu l'unica volta che vidi Kamante ascoltare con profondo interesse i complimenti che gli traducevo: i re, nella fantasia degli indigeni, sono esseri straordinari, dei quali parlano con gran piacere. Dopo parecchi mesi ebbe il desiderio di sentirsi ripetere i regali elogi e mi chiese, con un frasario che sembrava tolto da un manuale per lo studio del francese: "Piacque al figlio del sultano la salsa del maiale? La mangiò tutta?» ...

da "La mia Africa" di Karen Blixen

Le panadas o impanadas sarde - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Le panadas o impanadas sarde
dalle note della ricetta Sa panada fritta con carciofi e patate inserita da Pasquale Franzese


Le panadas o impanadas ( che in sardo significa "palle") sono le squisite tortine salate e farcite che vengono preparate in quasi tutta la Sardegna.
La panada è un piatto di origine antica, addirittura nuragica; la tradizione di prepararle si conserva tutt'oggi in molti paesi della Sardegna, in particolare ad Assemini e a Oschiri, dove viene considerata il piatto più tipico, tanto che alla panada è stata dedicata una sagra.
In genere il ripieno è di formaggio o di carne di maiale, accompagnata da verdure ma a volte viene preparata con pancetta oppure con la carne di agnello e in alcuni casi insaporita con funghi o carciofi sott'olio, senza contare le versioni ripiene di pesce, in genere anguille.
"Sa panada" veniva consumata nei giorni di festa, oppure offerta in dono a persone di un certo riguardo e rilevanza.
"Sa panada" (palla), è uno dei prodotti tipici sardi più conosciuti, ed è molto apprezzata ai nostri giorni, infatti viene prodotta con gli alimenti base della vita agro-pastorale: il guscio è costituito di pasta condita con strutto che nasconde un ripieno di formaggio, carne di maiale, agnello, bovina, anguilla, o addirittura verdure, il tutto cotto in forno senza aggiunta di alcun tipo di conservanti o altro.

Pasquale Franzese

Storia di vini: Come nasce il Barolo di Gino Adamo - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina

Il conte Camillo Benso di Cavour non fu soltanto quel sagace uomo politico che tutti sappiamo; rivelò, difatti, un ammirevole fiuto anche nella fruttuosa amministrazione delle terre di famiglia. Appena libero dai gravosi impegni della politica, se ne occupava con molta passione e abilità. Cavour amava soggiornare di frequente al Castello di Grinzane, dov'erano situate le sue pregevoli tenute agricole; confinanti di rango erano i Marchesi Falletti di Barolo, vecchi amici di famiglia. Il Cavour discute spesso con loro dei vini della zona che, purtroppo, non sono conservabili. Il grande uomo politico italiano ha sentito dire che Oltralpe hanno compiuto notevoli progressi grazie a tecniche particolari. D'accordo con gli amici Falletti, il conte di Cavour, che, frattanto, ha tenuto a battesimo l'unità d'Italia, decide di chiamare a consulto un enotecnico francese, un tale Monsieur Oudart, che, in effetti, si rivela un vero esperto. In sostanza i suoi precetti prescrivono di anticipare la vendemmia, introdurre sistemi innovativi nel processo di vinificazione, prolungare la fermentazione e infine invecchiare il prodotto in botte: anche per lungo tempo.
In breve: è nato il Barolo!

Gino Adamo


Le arance siciliane, da un articolo di Gaetano Basile - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Si deve ai musulmani l'introduzione di agrumi importanti per l'economia siciliana come l'arancio amaro e i limoni dolci, le cosiddette lumìe. Ma per vedere sulle mense siciliane l'arancio dolce bisognerà aspettare molti secoli ancora. Solo nel 1487 è segnalata la presenza dell'arancio dolce portato a Palermo dai Portoghesi e detto in siciliano "Portuallo". Si trovava nel giardino di Federico Abbatellis, parente stretto di quella famiglia che annovera anche Francesco, Mastro Portolano del Regno, al servizio di sua maestà Ferdinando il Cattolico a cui si deve la fondazione dello storico palazzo realizzato da Matteo Carnalivari. Poi i palermitani ci fecero la "Conca d'oro"....
L'arancio è una presenza sporadica e unitaria, quasi un capriccio della nobile e importante famiglia, che non deve avere badato a spese pur di avere quell'albero dalle foglie verde cupo e dai fiori bianchi che inebriano. Prima ancora che diventassero popolari e la battezzarono Arancia Tarocco
Da dove è venuto il nome di "tarocco" dato alla famosa e tanto pregiata arancia chew cresce ai piedi dell'Etna?
Nella lettera che il noto agricoltore della zona, Sebastiano Cucuzza nel 1929 indirizzò al Segretario Generale del P.N.F. Augusto Turati (v. Nuova Sicilia Agricola del gennaio 2004 - pag. 21), in un passaggio così viene spiegata l'origine del nome:
In botanica, almeno per quello che io ne sappia, non esiste questo nome per nessun frutto per nessuna pianta. Avendo però domandato al sig. Denaro Gesualdo, lo scopritore - diciamo così - e propagatore sopraccitato del tarocco, e, mi racconta che una volta, quando questo frutto cominciò ad essere conosciuto, lui, il sig. Denaro, ne mostrava un bel campione e ne rilevava i pregi avanti un crocicchio di contadini uno di costoro, un semplicione, prese tra le mani quel campione ed esclamò: un tarocco! La parola provocò il riso di tutti, ma ebbe fortuna, e da quel momento quell'arancio si chiamò tarocco.
Continua poi il sig. Sebastiano Cucuzza: Che cosa sia il tarocco commercialmente lo dimostra il fatto che mentre al momento (fine ottobre) in Francofonte nessuna vendita si é fatta né di biondo, né di sanguigno, né di mandarini, per cui gli animi dei proprietari sono pieni di ansie, i tarocchi del territorio sono quasi tutti venduti al prezzo delle L. 425 alle 460.
Si tenga conto che le arance in quegli anni si vendevano in base al numero e non in funzione del peso, cioè "a migliaia".
Una lira nel 1929 equivaleva a circa 0,66 euro di oggi (1.278,34 di vecchie lire).

Tratto dall'articolo Arance di Sicilia di Gaetano Basile

Un papa sommelier - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Il papa Paolo III di casa Farnese era un tale cultore del vino, che la sua raffinatezza farebbe impallidire d'invidia qualunque gourmet nostrano.
Aveva un tale culto del vino da averne uno per ogni ora del giorno, per ogni mese dell'anno, per quando viaggiava, per quando si sentiva afflitto dal peso della vecchiaia.
Morì ad 81 anni e il bere lo conservò a lungo in buona salute, almeno a giudicare dal ritratto che gli fece il Tiziano, dove spiccano due occhi ancora acuti e vivissimi.
Rimangono a noi dei suoi preziosi giudizi sui vini che amava o che gli capitava di bere, raccolti in un libretto dal suo bottigliere Sante Lancerio.

I nove gradini del bere - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina

Il filosofo Apuleio Madaurense scriveva:
"nove sono i gradini del bere:
primo bicchiere: giova alla salute
secondo bicchiere: giova al buonumore
terzo bicchiere: giova al piacere
quarto bicchiere: apre le porte dell'ebbrezza
quinto bicchiere: favorisce l'ira
sesto bicchiere: fa scoppiare le liti
settimo bicchiere: fa emergere il furore
ottavo bicchiere: fa pervenire al sonno profondo
nono bicchiere: apre a grave malattia
"

Buono come il pane - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Alcuni alimenti che giornalmente si trovano sulla nostra tavola, hanno una loro storia e si sono trasformati nei secoli, assumendo un ruolo a volta simbolico importante, basta pensare al pane e al vino durante le funzioni religiose cristiane, che si trasformano simbolicamente nel Corpo e nel Sangue di Gesù Cristo.
Il pane ha avuto sempre un ruolo importante nella storia dell'uomo ed è entrato nel linguaggio comune con modi di dire come: "guadagnarsi il pane", "perdere il pane", "non è pane per i miei denti", "dire pane al pane", "buono come il pane", per finire con "pane quotidiano", che viene usato anche nelle preghiere.
In passato ha avuto un'importanza spesso rilevante. Come esempio ricordiamo che nell'antico Egitto Ramsete III nei trenta anni del suo regno offrì agli dei, 6 milioni di sacchi di grano e 7 milioni di pagnotte.
Il pane dei nostri antenati sicuramente non era come quello di oggi. Si usavano impasti di cereali grossolanamente macinati, e i cereali che venivano usati variavano da zona a zona. Non era lievitato e veniva cotto alla griglia o su pietre o ciottoli roventi.
I primi a perfezionare l'arte di fare il pane furono senz'altro gli egiziani, che poi esportarono questa arte in tutto il Mediterraneo.
Roma conobbe il pane intorno al II secolo a.C., ed inizialmente, fino all'età imperiale, era un alimento usato soltanto dalle classi superiori.
Nei secoli successivi il pane diventò un alimento importante ed essenziale per tutta la popolazione, fino a scatenare veri moti di piazza per la sua tassazione o il razionamento. Esempio su tutti i tumulti del pane di Milano ben descritti da Alessandro Manzoni nel suo romanzo "Promessi Sposi".
Oggi ci sono svariate varianti nella produzione del pane, ed in Italia, cambiando zona geografica, si trovano differenze anche consistenti:
Nella pianura padana troviamo un pane di origine Celtica, molto lievitato.
Nel centro Italia il pane casareccio assume forme varie e sapore diverso secondo la zona di produzione.
In Sardegna sono famosi i "carasau", fogli sottili e croccanti prodotti con farina mista a semola.
In Sicilia, si usa molto di più il sale e sono caratteristici i pani cosparsi di grani di sesamo: il "pane con il cimino".
Altra caratteristica nostrana è che spesso diventa protagonista durante le feste paesane, quasi sempre di origine religiosa, assumendo forme particolari, come il pane a forma di donna con tre mammelle dei Castelli Romani o il pane che assume svariate forme negli altari di pane duramnte la Festa di San Giuseppe a Salemi, in provincia di Trapani (vedi foto).
Ecco come un alimento semplice, che consumiamo giornalmente, diventato ormai essenziale per la nostra alimentazione, possa essere ricco di storia.
Allora possiamo a buon titolo dire: "Buono come il pane!"
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Modi di dire "culinari": uova e frittate - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina

Le tradizioni popolari abbondano in modi di dire legati ai piatti più in uso. Uno dei più rappresentativi è senz'altro la frittata e di conseguenza anche il suo ingrediente principale, le uova. Chi non ha mai usato almeno uno dei modi di dire quì appresso indicati? Ormai fanno parte del linguaggio comune.
Eccone quì di seguito alcuni partendo dalle uova e finendo con la frittata:
Gallina che canta ha fatto l'uovo: si dice di qualcuno che nasconde dietro un atteggiamento allegro, qualche malefatta.
Uovo di Colombo: di dice di trovata semplicissima che risolve un problema da tutti considerato irrisolvibile.
Rompere le uova nel paniere: si dice di qualcuno che poco opportunamente si intromette per ostacolare l'operato di un'altra persona.
Essere pieno come un uovo: avere mangiato così tanto da non potersi muovere.
Cercare il pelo nell'uovo: Essere estremamente minuzioso e cercare sempre anche i minimi difetti nelle cose.
Meglio un'uovo oggi che una gallina domani: è più sicuro accontentarsi di quello che si ha al momento e non rischiarlo per avere sempre di più.
Non si può far la frittata senza rompere le uova: sin dice quando per ottenere uno scopo bisogna pagare un prezzo più o meno lecito
Fare una frittata: si ci riferisce ad una cosa malriuscita o ad un disastro sia pratico che figurato.
Frittata: in gergo automobilistico, indica un incidente fra più autovetture.
Ormai la frittata è fatta: si dice quando una situazione, un'azione è già compiuta e non ci si può porre più rimedio.
Rigirare la frittata: si dice quando qualcuno rigira un argomento di discussione in tutti i modi, pur di avere ragione.

I 3 condimenti del brodetto di Licurgo - Gastronomia in pillole a cura di Luigi Farina


Licurgo, legislatore spartano dell'VIII secolo a.C., tentò di porre ordine alla vita sociale ed economica di Sparta, instaurando un regime di austerità collettiva.
Mise al bando il lusso e la ricercatezza dei banchetti fino allora in uso: i pasti dovevano essere assunti in comunità, in lunghe tavolate, consumando il "brodetto nero", pietanza comune a tutti.
Dionigi il vecchio, re di Siracusa, assaggiando questa pietanza, la trovò così disgustosa che chiese come si potesse mangiare un simile orrore.
A questa domanda gli venne risposto: "Con l'aiuto di 3 condimenti: fame, stanchezza e sete".
Infatti come la storia ci racconta, da li a breve, gli spartani cacciarono via Licurgo a sassate.