Migliaia di povere bestie non possono
ora immaginare che sta per aprirsi per loro un
fosco destino: le attende, difatti, una morte
lenta per sete e inedia, atroce per
stritolamento sulle autostrade, per brutali
maltrattamenti fisici, per inevitabili ferite e
malattie, per uccisioni crudeli. Palermo deve
inoltre fare i conti con un problema divenuto
molto serio, e a tutt’oggi insoluto: il
randagismo. Si calcola che all’interno del
perimetro urbano i c.d. “randagi” non siano meno
di diecimila. E’, inoltre, di questi giorni la
notizia che sarebbe in corso una campagna di
sterilizzazione dei randagi. Frattanto, sono
stati segnalati i primi casi di abbandono della
“stagione”. Sarebbero già diverse centinaia le
bestiole cinicamente “ripudiate”: se ne
incontrano dappertutto. Guardateli, non si può
sbagliare: poveri animali dallo sguardo smarrito
e spaurito si aggirano affamati e confusi nei
pressi delle grandi strade di comunicazione, per
le vie della periferia urbana; finanche nei
vicoli del centro storico. E’ facile prevedere
che l’arrivo dell’estate peggiorerà la sorte
degli “amici dell’uomo”, poichè ne incrementerà
sensibilmente l’abbandono.
Ogni anno in
Italia sono in media fra 60 e 80 mila gli
animali domestici abbandonati ai bordi delle
strade comunali e delle autostrade. Nel “98
furono circa novantamila. Parecchie migliaia di
essi, rifiutati dalle famiglie, saranno tolti di
fatto dalle strade; ma gli sventurati avranno
ben poco di che scodinzolare, festosi: saranno
consegnati ai boia di moderni laboratori di
ricerca, ove saranno destinati a subire l’infame
pratica pseudo-scientifica della vivisezione. In
altre parole, diverranno cavie di una prassi
sperimentale tanto inutile quanto ignobile, che
può solo accrescere il (più o meno) latente
sadismo di tanti insospettabili psicopatici che
si aggirano fra noi. Siamo di fronte ad un tema
molto amaro e vergognoso, di cui in Italia si
parla assai poco, anche sui media: come se si
volesse - con il silenzio di tanti - rimuoverlo
dalla coscienza collettiva. Una realtà che,
attraverso il vile pretesto di testare nuovi
farmaci e terapie, fagocita come un orco milioni
di povere creature sottoposte in tutto il mondo
ad orrende torture. Oltre cinquecento sono oggi
in Italia i centri di sperimentazione su animali
vivi: è stato accertato che, nell’86 per cento
degli esperimenti attuati nei nostri laboratori,
non viene eseguita alcuna forma di anestesia,
mentre esiste ancora qualcuno che si domanda se
gli animali soffrono, e quanto. In linea di
massima gli studiosi concordano sul fatto che
gli animali (i mammiferi, in particolare)
soffrono - più o meno - come gli umani.
D’altronde che gli
animali abbiano una propria vita emotiva (e
affettiva) è assodato sin dai tempi di Darwin. E
molti fisiologi ritengono che i meccanismi del
dolore siano molto simili in tutti i mammiferi,
sebbene la soglia fisiologica del dolore rimanga
tuttora un mistero. Difatti, non è nota per
nessuna specie vivente. Si deve quindi restare
all’analisi dei comportamenti. E la conclusione
è che le bestie, detto in sintesi, soffrono
fisicamente quanto noi e spesso come noi.
Soprattutto dopo il trauma dell’abbandono. Anche
nel resto dell’Europa la “condizione animale”
non appare molto rosea. Soprattutto nell’Europa
orientale, e in particolare in Paesi fortemente
degradati come la Romania postcomunista: dove,
come si sa, non si abbandonano solo povere
bestie, ma anche tanti, tantissimi sfortunati
bambini, spesso orfani e gravemente malati,
ospiti di strutture sanitarie sudicie e
fatiscenti. Figurarsi le condizioni dei canili!
E’ il dramma delle bestie ospitate in orrendi
canili-Lager, dove non vanno certo incontro a
miglior destino: dietro a quelle sbarre si
consuma, tra fame e maltrattamenti, la
sventurata esistenza di migliaia di cani che vi
sono “detenuti”, poveri esseri abbrutiti che vi
guardano con un’espressione folle di paura e di
sofferenza. Chi ne dubitasse può far visita ai
canili di Palermo, che, purtroppo, non hanno
molto “da invidiare” a quelli rumeni.
Ma la verità è in
fondo una sola: la tragedia degli animali,
domestici e selvatici, è antica quanto l’uomo, e
planetaria. Sono oltre trecento milioni le
bestie trucidate crudelmente ogni anno nel
mondo. Si va dall’uccisione straziante delle
foche a bastonate (per non danneggiarne la
preziosa pelliccia), nel grande Nord, in Canada
e in Norvegia (si, la civile e gentile Norvegia,
la romantica Terra dei Fiordi e del Sole di
Mezzanotte), alla sconsiderata ecatombe delle
ultime balene, perpetrata dal Giappone, in barba
ai regolamenti internazionali (che ne limitano
l’attività). Appunto, dicevamo, una tragedia
senza fine, che sta determinando l’estinzione di
migliaia di specie. Ogni giorno nella
civilissima Europa occidentale ben 55 mila
bestie vengono orribilmente sfigurate e
intossicate dall’industria cosmetica (che vanta,
com’è noto, fatturati multimiliardari, in euro).
Ma anche nel Bel Paese non si scherza. Per
frivole ricerche sulla cosmesi – prodotti
raffinati per accrescere il fascino muliebre e
ormai sempre più spesso per solleticare anche la
vanità maschile - oltre tremila poveri animali
vengono giornalmente vivisezionati. Alla fine
dell’anno le vittime sacrificali saranno oltre
un milione: bestie torturate, lasciate poi a
lungo atrocemente agonizzanti. Di recente una
dozzina di prodotti cosmetici europei sono stati
messi al bando dalle autorità cinesi, e ritirati
dagli scaffali dei supermercati. Tra le marche
più conosciute, due notissime: Chanel e Nivea.
Se per caso state pensando ad un moto di pietà
cinese per l’indegno sfruttamento delle povere
bestie, siete – ahimè! – in errore. Difatti, la
motivazione ufficiale, fornita dal governo di
Pechino, è ben altra: quei prodotti
conterrebbero sostanze derivate da bovini.
Sarebbero in pratica a rischio di contagio del
morbo Bse (“mucca pazza”). D’altronde, come si
può credere ad un soprassalto di compassione in
un Paese che, innegabilmente, ama i cani ...
purchè, beninteso, cucinati a dovere. E’ noto
che in diversi ristoranti di Shangai il cane
“cucinato a regola d’arte” costituisce - tuttora
- un boccone prelibato per il raffinato palato
orientale. Tant’è che, in Cina e in Korea, viene
allevato anche in batteria, in apposite
gabbiette poste all’ingresso del ristorante,
dove gli avventori, entrando nel locale, possono
comodamente scegliere subito la bestia di loro
gradimento (particolarmente richiesti i
tenerelli cuccioli), che poco dopo gli verrà
servita su un piatto fumante. Per aver
denunciato quest’usanza, definenendola “barbara”
(qual è), Brigitte Bardot, da molti anni in
prima linea nella strenua difesa degli animali,
è stata minacciata di morte: migliaia di
lettere, inviatele soprattutto dalla Korea del
Sud, assieme alle minacce di “giustizia
sommaria”, hanno tentato di difendere quel
feroce costume con la cultura tradizionale...
Che altro aggiungere dinanzi a tanto abominio?
Ma, gastronomia
canina a parte, Cina e Korea non sono i soli
paesi orientali ad esercitare l’infame attività
commerciale a spese di innumerevoli animali
domestici. Sono in buona compagnia: sia in Asia
sia in Europa. Non è più un mistero per nessuno
che da anni cani e gatti, allevati con “sistemi
artigianali”, vengono impunemente uccisi a
decine di migliaia per farne pellicce. Siamo al
cospetto della brutale e crudele macellazione di
animali da compagnia - cani e gatti –
finalizzata al commercio di pellicce. Sul
fenomeno è stata condotta un’accurata indagine
durata 18 mesi: si è trattato dello sforzo
congiunto di “Humane Society of the United
States” / “Humane Society International (HSUS/HSI)”
e Manfred Karremann, un giornalista free-lance
tedesco. In Italia la denuncia viene dalla LAV,
l’attiva Lega antivivisezione, che da mesi sta
indagando su medie aziende italiane coinvolte in
un traffico internazionale di pellicce, un
“affare” che causa ogni anno la soppressione di
non meno di due milioni di bestie, fra cani e
gatti, le cui pelli vengono usate soprattutto
come inserti per cappotti, guanti, colli,
cappelli (e vari accessori). Queste pelli
provengono - secondo la LAV - da piccoli
allevamenti di cani e gatti situati in Cina,
Thailandia, Filippine e Corea, ma che – duole
dirlo – sono utilizzate da aziende di produzione
e di intermediazione italiane (con sedi in
Veneto, Toscana, Liguria, Piemonte, Abruzzo,
Trentino-Alto Adige e Sicilia). S’intende che
partecipano al turpe business, anche aziende di
altri paesi europei (tra cui la Germania).
Da qualche tempo si ha notizia dell’uccisione in
Europa di splendidi pastori tedeschi per 9
dollari, le pelli conciate del gatto vengono
addirittura “svendute”: a meno di 3 dollari
ciascuna. Che ne dicono i produttori? si
stringono nelle spalle. Pazienza, sembrano dire:
bisogna contentarsi, per ora il mercato non
offre di più. Anche quest’orribile realtà è
stata denunciata dalla LAV, nel corso di una
conferenza stampa attraverso un video ed alcune
foto (realizzate dalla Humane society of the
United States). «Questo squallido commercio – ha
spiegato Roberto Bennati, responsabile della
campagna antipellicce della LAV - è reso
possibile da un sistema di etichettatura
ingannevole per i consumatori, che acquistano
capi con la dicitura ‘dogues du Chinè, ‘Asian
wolf’, ‘Wild Cat’, mentre la pelle di cane viene
spacciata anche per pelle di agnello, di capra,
o come ‘special skin’».
Chi indossa
pellicce è dunque avvisato: contribuisce
concretamente ad alimentare un infame commercio
che non risparmia i nostri più fedeli amici a
quattro zampe. «La contraddizione - aggiunge
Bennati - è che in Italia è un reato penale, in
teoria perseguibile, maltrattare un cane o un
gatto, o abbandonarlo, ma poi non è per nulla
vietato importarne o usarne la pelliccia!».
La LAV si è
rivolta direttamente ai ministeri dell’Industria
e del Commercio Estero per bandire, entro tempi
brevi, l’importazione di pelli di cani e gatti
ed introdurre l’obbligo di un’esplicita
etichettatura per tutti i capi confezionati con
pelli e pellicce. ”In questo commercio
insanguinato non sono coinvolti solo animali
randagi, ma anche cani e gatti appositamente
allevati in strutture, spesso a conduzione
familiare o comunque di dimensioni medio-piccole
- ha dichiarato Rick Swain, responsabile
investigazioni della “Human Society”.
Ma proviamo ora a
far i conti in tasca al medio allevatore
italiano. Una singola pelle di visone è venduta,
in alta stagione, nel nostro paese dal manager
al costo di Euro 41.32 (corrispondenti a 80.000
delle vecchie lire), mentre, nella bassa
stagione, il costo è di Euro 20.66 (L. 40.000).
A queste cifre vanno eventualmente aggiunte
l’IVA e il costo della concia di ogni singola
pelle. Secondo l’ISTAT una pelle di volpe vale
molto di più, fino a 61.98 Euro (L. 120.000).
Ecco che un allevamento medio di 2 mila visoni
consente un guadagno minimo di Euro 41.316 /
82.633 l’anno (L.80-160 milioni). Le spese di
gestione sono ridotte al minimo. Ovviamente non
c’è assistenza veterinaria, il cibo è economico
al massimo, la struttura è quasi sempre
spartana, il più delle volte composta di una
semplice tettoia. Si consideri, infine, che la
quasi totalità degli allevatori italiani svolge
anche altre attività.
«Poche settimane
fa la Camera dei rappresentanti degli Stati
Uniti – ha dichiarato la LAV - ha votato un
documento che, se approvato, bandirà per sempre
l’importazione di pelli di cani e gatti negli
USA, come da noi richiesto». La Lega ha iniziato
una mappatura del fenomeno delle “pellicce
domestiche” per conoscere le ditte ed i canali
di distribuzione coinvolti. Fra le prove, la LAV
cita anche una nave di proprietà di una
compagnia cinese, in viaggio verso la Repubblica
Ceca: ufficialmente destinata (si dice) a
rifornire l’esercito ceco. Conteneva 11.924
libbre (5.329 kg) di giacche confezionate con le
pelli di gatto domestico, equivalenti
all’uccisione di 40 mila / 55 mila animali.
Nella maggioranza dei Paesi del Pianeta, non
esistono legislazioni che li proibiscano, nè
norme e consuetudini che ne tutelino i diritti
più elementari facendo argine alla mostruosa
brutalità dell’Uomo. La verità è che dappertutto
le bestie soffrono atrocemente, subiscono
orribili sevizie, spesso del tutto gratuite,
compiute spesso sotto lo sguardo incurante di
molte persone, abituate a considerarle alla
stregua di cose inanimate. Nient’altro che
oggetti. Ma, ancora una volta, non occorre
andare lontano: di episodi violenti e immotivati
sugli animali se ne riscontrano ovunque. Palermo
non fa eccezione. Di recente, proprio nella
nostra città, si sono verificati episodi
d’incredibile brutalità. Poliziotti grandi e
grossi si sono ritenuti in pericolo in quanto –
secondo le loro dichiarazioni – sarebbero stati
sul punto d’essere aggrediti da poveri cani. Nel
mirino, fra gli altri, un bastardino di nome
Bobo, ben noto nel quartiere per la sua
mansuetudine. Ma il nostro animale s’è
incontrato con un poliziotto ch’è un dritto, col
quale non si scherza, che giustamente teme per
la propria incolumità: come dargli torto in una
città affollata da bastardini feroci come belve!
Dunque, che altro poteva fare il nostro bravo
sceriffo a difesa della propria incolumità in
pericolo? Ha estratto prontamente la pistola
d’ordinanza e da buon pistolero, senza
esitazione, lo ha freddato; il povero animale si
è abbattuto senza vita sul marciapiede, là,
sotto gli occhi esterrefatti e atterriti di
decine di passanti: anche di bambini, per i
quali quella povera bestia non costituiva certo
un pericolo. La Lav si è immediatamente
attivata: avrebbe già inviato un fax con la sua
richiesta – sospensione del porto d’armi
all’eroico agente – alla Questura e alla
Prefettura. Beninteso, non c’è da farsi
illusioni...
Nondimeno, pur fra
tanta barbarie, in Europa qualcosa si muove. Il
Consiglio federale svizzero, rivelando una rara
sensibilità (che gli fa onore), si è dichiarato
da tempo a favore di una nuova disciplina
relativa allo statuto giuridico degli animali.
In sostanza il principio accolto dal Consiglio
elvetico enuncia che la legislazione di un paese
civile non deve più trattare gli animali come
cose, bensì, in primo luogo, prendere in
considerazione - segnatamente nell’ambito del
diritto civile e penale - la loro peculiarità di
esseri viventi. Su questo piano il Governo Blair
segue di poche lunghezze quello Svizzero.
L’iniziativa (ripresa poco tempo addietro in
Italia da “Messaggero” e “Repubblica”) è stata
presentata da Elliot Morley, sottosegretario
all’Ambiente di Sua Maestà: «Dobbiamo
modernizzare le nostre norme – ha dichiarato -
fissare degli standard minimi per gli animali
affidati alle nostre cure. Abbiamo l’obbligo di
trattarli in un modo degno di una società
civile». Così, per tutelare gli animali
domestici, la Gran Bretagna, patria della Magna
Charta degli umani, ha proposto una “Carta dei
Diritti” degli animali. Se la legge verrà
approvata, ogni abuso o maltrattamento verrà
perseguito da polizia e protezione civile. Ma,
ad onor del vero, anche nel nostro Paese non
manca qualche iniziativa encomiabile, che vale
la pena di segnalare. Peccato che si tratti però
solo di realtà isolate in un mare di colpevole
indifferenza, superficialità e noncuranza. La
notizia arriva dalla Toscana. Sarà presto realtà
nel comune di Figline (in provincia di Firenze)
una “Carta degli animali”, una sorta di
regolamento elaborato per la tutela e per la
gestione degli animali, un documento che detti
le norme di un comportamento corretto nei
confronti dei nostri amici a quattro zampe. La
giunta spera di riuscire a far approvare la
Carta entro l’estate, che, come sappiamo, è la
stagione più pericolosa per gli animali a causa
dei continui abbandoni.
“Se ci riuscissimo
- spiega il vicesindaco Luciano Tagliaferri -
molti problemi verrebbero risolti. Inoltre
vogliamo arrivarci – sottolinea - prima che
inizi il periodo delle ferie, e con esso quello
dell’abbandono degli animali. Soprattutto dei
cani”.
In concreto la
Carta degli animali affronta il problema dei
maltrattamenti, poi con particolare attenzione
quello degli avvelenamenti, mentre un intero
paragrafo è dedicato all’abbandono. Nel
documento di Figline si stabiliscono anche le
regole sul come e dove tenere l’animale. “Il
regolamento - conclude il vicesindaco - è
rivolto sia ai cani che ai gatti, ma ci sono
norme che riguarderanno anche i pesci, i
volatili e gli animali acquatici. Il tutto
raccolto in un libro da distribuire presto ai
cittadini”.
Sugli
avvelenamenti di cani – la classica, vile
polpettina intrisa di stricnina – Palermo ha
rivelato di non essere da meno di altri luoghi,
tristemente noti (come, per dirne una, alcune
zone del ravennate). E’ stato stabilito che non
si tratterebbe soltanto dell’opera di alcuni
psicopatici che disseminano la città di sostanze
tossiche per poi veder morire, fra atroci
spasmi, gatti e cani di quartiere: ognuno, si
sa, si diverte in base alle proprie
inclinazioni. Ma chi ha interesse a disseminare
sul marciapiede cibi tossici? A parte il solito
psicopatico, secondo le denunce ricevute dalle
forze dell’ordine ci sarebbe una categoria ben
precisa di individui, cui cani e gatti non vanno
giù perchè considerati inquinatori del suolo
antistante l’androne dell’edificio di cui sono
custodi. Si, a quanto sembra, i portinai di
diversi, eleganti stabili di Palermo sarebbero
in cima alla lista dei sospettabili di eccidio
animale mediante avvelenamento camuffato da
cibo: la polpetta alla stricnina, infatti,
continua a far stragi di povere bestie, mettendo
al contempo a repentaglio anche la salute di
esseri umani. Il sistematico maltrattamento di
povere bestie, la loro soppressione, sarebbero,
secondo autorevoli relazioni dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità (Oms), un segnale
allarmante di malattia mentale. L’Oms ha
inserito la crudeltà fisica nei riguardi degli
animali tra i sintomi del disturbo della
condotta. Nelle biografie di alcuni famosi
serial killer - spiega la dottoressa Pagani, una
psicologa - “sono presenti episodi di violenze,
spesso atroci, nei confronti di animali,
compiuti nell’infanzia o nell’adolescenza. La
ricerca psicologica ha comunque dimostrato che i
comportamenti crudeli verso gli animali possono
non solo precedere nel tempo, ma anche seguire
altri comportamenti antisociali o verificarsi in
concomitanza con essi”. E’ stato inoltre
evidenziato, in sede clinica, che i casi di
crudeltà verso gli animali sono molto frequenti
nelle famiglie dove la violenza è esercitata
anche nei confronti di persone, in contesti dove
le forme di aggressione fisica contro persone
sono più gravi.
Si diceva
all’inizio che quello dell’abbandono è ormai -
da decenni - un crudele rito annuale, che si
consuma di solito nei mesi caldi, quando,
nell’imminenza delle vacanze, migliaia di buone
famiglie italiane abbandonano al loro destino,
in media dai 60 agli 80 mila cani: circa
novantamila furono nel 1998.
L’anno scorso,
nella sola provincia di Palermo, ne sono stati
abbandonati oltre un migliaio. Altrettanti, al
contempo, ne sono stati calcolati in provincia
di Como. Nella capitale dell’Isola, Biagio
Conte, un attivo frate laico dell’Associazione
“Speranza e carità”, ha cercato di salvare
alcune di queste sventurate bestiole dalla
strada; ne ha condotte alcune al canile
cittadino, dove s’è trovato però al cospetto di
uno scenario così degradato che definirlo penoso
dà appena una pallida idea della realtà. Il
frate non ha esitato a denunciare lo
stato-limite in cui versa il canile palermitano,
dove - ha segnalato a chiare lettere - avvengono
fatti aberranti: dai continui maltrattamenti al
sovrannumero, fino alla frequente soppressione
di animali mediante feroci lotte di branco
(innescate per diversivo dai guardiani del
“Lager”). La situazione è resa più seria
dall’ubicazione centrale del canile, all’interno
del centro abitato (la zona dell’Orto Botanico e
della stazione ferroviaria). La struttura del
canile risale agli inizi del secolo scorso
(1901). Ad ogni ora del giorno gli abitanti dei
vicini condomini, e gli stessi frati del
convento, assistono dalle finestre ad uno
spettacolo di grande squallore e disfacimento,
da cui si sprigiona un lezzo insopportabile.
Oltre al resto, gli inquilini lamentano di dover
subire, giorno e notte, il clamore lacerante di
latrati e ringhi. Hanno sporto denuncia al
Comune e alla Magistratura, ma finora senza
risultato. Da qualche tempo sono presenti nel
canile anche una quarantina di Pitt-Bull.
Essendo bestie piuttosto aggressive (per
l’addestramento ad hoc ricevuto) per ospitarli
sono state utilizzate parte delle già poche
gabbie in dotazione al canile: un pitt-bull per
gabbia. Gli altri cani – una folla straziante e
ululante di bestie affamate, malate, sfibrate
dagli stenti (che urlano senza sosta la loro
disperata sofferenza) - hanno dovuto quindi
stringersi fino all’inverosimile nelle poche
gabbie rimanenti: fino a venti per gabbia! Si
consideri che il canile di Palermo accoglie
attualmente circa 200 cani, ma la struttura è
appena adatta a ospitarne - e disagevolmente -
una quarantina.
Forse (forse!) il
Comune di Palermo dovrebbe provvedere al
riguardo, assumere le opportune iniziative che,
in una città civile, la giunta compie motu
proprio: nel caso specifico, l’Amministrazione
comunale - destinataria di lettere di lamentela
da parte degli abitanti della zona, costretti a
vivere accanto ad una realtà così gravemente
deteriorata - dovrebbe attivarsi senza ulteriori
spinte e sollecitazioni. La situazione parrebbe
inoltre di emergenza sanitaria, essendo nella
struttura visibilmente assente ogni elementare
forma di igiene. Insomma, se non si vuol farlo
per quelle povere bestie, si provveda, quanto
meno, per l’obbligo civile dovuto ai cittadini
che hanno il diritto di vivere in un ambiente
sano e tranquillo. Anche questo, crediamo,
rientri in “un impegno preciso”: o no?.
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