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Un gran numero di cani e di gatti ignora di stare attualmente vivendo i loro ultimi giorni spensierati, in casa di padroni che, finora, bene o male, li hanno accolti e sfamati, ma che adesso - in vista delle vacanze - sono in procinto di disfarsene abbandonandoli sulle strade. Ormai da decenni è una vergognosa prassi, consolidata, che puntualmente si consuma fra la primavera e l’estate.

Migliaia di povere bestie non possono ora immaginare che sta per aprirsi per loro un fosco destino: le attende, difatti, una morte lenta per sete e inedia, atroce per stritolamento sulle autostrade, per brutali maltrattamenti fisici, per inevitabili ferite e malattie, per uccisioni crudeli. Palermo deve inoltre fare i conti con un problema divenuto molto serio, e a tutt’oggi insoluto: il randagismo. Si calcola che all’interno del perimetro urbano i c.d. “randagi” non siano meno di diecimila. E’, inoltre, di questi giorni la notizia che sarebbe in corso una campagna di sterilizzazione dei randagi. Frattanto, sono stati segnalati i primi casi di abbandono della “stagione”. Sarebbero già diverse centinaia le bestiole cinicamente “ripudiate”: se ne incontrano dappertutto. Guardateli, non si può sbagliare: poveri animali dallo sguardo smarrito e spaurito si aggirano affamati e confusi nei pressi delle grandi strade di comunicazione, per le vie della periferia urbana; finanche nei vicoli del centro storico. E’ facile prevedere che l’arrivo dell’estate peggiorerà la sorte degli “amici dell’uomo”, poichè ne incrementerà sensibilmente l’abbandono.

Ogni anno in Italia sono in media fra 60 e 80 mila gli animali domestici abbandonati ai bordi delle strade comunali e delle autostrade. Nel “98 furono circa novantamila. Parecchie migliaia di essi, rifiutati dalle famiglie, saranno tolti di fatto dalle strade; ma gli sventurati avranno ben poco di che scodinzolare, festosi: saranno consegnati ai boia di moderni laboratori di ricerca, ove saranno destinati a subire l’infame pratica pseudo-scientifica della vivisezione. In altre parole, diverranno cavie di una prassi sperimentale tanto inutile quanto ignobile, che può solo accrescere il (più o meno) latente sadismo di tanti insospettabili psicopatici che si aggirano fra noi. Siamo di fronte ad un tema molto amaro e vergognoso, di cui in Italia si parla assai poco, anche sui media: come se si volesse - con il silenzio di tanti - rimuoverlo dalla coscienza collettiva. Una realtà che, attraverso il vile pretesto di testare nuovi farmaci e terapie, fagocita come un orco milioni di povere creature sottoposte in tutto il mondo ad orrende torture. Oltre cinquecento sono oggi in Italia i centri di sperimentazione su animali vivi: è stato accertato che, nell’86 per cento degli esperimenti attuati nei nostri laboratori, non viene eseguita alcuna forma di anestesia, mentre esiste ancora qualcuno che si domanda se gli animali soffrono, e quanto. In linea di massima gli studiosi concordano sul fatto che gli animali (i mammiferi, in particolare) soffrono - più o meno - come gli umani.

D’altronde che gli animali abbiano una propria vita emotiva (e affettiva) è assodato sin dai tempi di Darwin. E molti fisiologi ritengono che i meccanismi del dolore siano molto simili in tutti i mammiferi, sebbene la soglia fisiologica del dolore rimanga tuttora un mistero. Difatti, non è nota per nessuna specie vivente. Si deve quindi restare all’analisi dei comportamenti. E la conclusione è che le bestie, detto in sintesi, soffrono fisicamente quanto noi e spesso come noi. Soprattutto dopo il trauma dell’abbandono. Anche nel resto dell’Europa la “condizione animale” non appare molto rosea. Soprattutto nell’Europa orientale, e in particolare in Paesi fortemente degradati come la Romania postcomunista: dove, come si sa, non si abbandonano solo povere bestie, ma anche tanti, tantissimi sfortunati bambini, spesso orfani e gravemente malati, ospiti di strutture sanitarie sudicie e fatiscenti. Figurarsi le condizioni dei canili! E’ il dramma delle bestie ospitate in orrendi canili-Lager, dove non vanno certo incontro a miglior destino: dietro a quelle sbarre si consuma, tra fame e maltrattamenti, la sventurata esistenza di migliaia di cani che vi sono “detenuti”, poveri esseri abbrutiti che vi guardano con un’espressione folle di paura e di sofferenza. Chi ne dubitasse può far visita ai canili di Palermo, che, purtroppo, non hanno molto “da invidiare” a quelli rumeni.

Ma la verità è in fondo una sola: la tragedia degli animali, domestici e selvatici, è antica quanto l’uomo, e planetaria. Sono oltre trecento milioni le bestie trucidate crudelmente ogni anno nel mondo. Si va dall’uccisione straziante delle foche a bastonate (per non danneggiarne la preziosa pelliccia), nel grande Nord, in Canada e in Norvegia (si, la civile e gentile Norvegia, la romantica Terra dei Fiordi e del Sole di Mezzanotte), alla sconsiderata ecatombe delle ultime balene, perpetrata dal Giappone, in barba ai regolamenti internazionali (che ne limitano l’attività). Appunto, dicevamo, una tragedia senza fine, che sta determinando l’estinzione di migliaia di specie. Ogni giorno nella civilissima Europa occidentale ben 55 mila bestie vengono orribilmente sfigurate e intossicate dall’industria cosmetica (che vanta, com’è noto, fatturati multimiliardari, in euro). Ma anche nel Bel Paese non si scherza. Per frivole ricerche sulla cosmesi – prodotti raffinati per accrescere il fascino muliebre e ormai sempre più spesso per solleticare anche la vanità maschile - oltre tremila poveri animali vengono giornalmente vivisezionati. Alla fine dell’anno le vittime sacrificali saranno oltre un milione: bestie torturate, lasciate poi a lungo atrocemente agonizzanti. Di recente una dozzina di prodotti cosmetici europei sono stati messi al bando dalle autorità cinesi, e ritirati dagli scaffali dei supermercati. Tra le marche più conosciute, due notissime: Chanel e Nivea. Se per caso state pensando ad un moto di pietà cinese per l’indegno sfruttamento delle povere bestie, siete – ahimè! – in errore. Difatti, la motivazione ufficiale, fornita dal governo di Pechino, è ben altra: quei prodotti conterrebbero sostanze derivate da bovini. Sarebbero in pratica a rischio di contagio del morbo Bse (“mucca pazza”). D’altronde, come si può credere ad un soprassalto di compassione in un Paese che, innegabilmente, ama i cani ... purchè, beninteso, cucinati a dovere. E’ noto che in diversi ristoranti di Shangai il cane “cucinato a regola d’arte” costituisce - tuttora - un boccone prelibato per il raffinato palato orientale. Tant’è che, in Cina e in Korea, viene allevato anche in batteria, in apposite gabbiette poste all’ingresso del ristorante, dove gli avventori, entrando nel locale, possono comodamente scegliere subito la bestia di loro gradimento (particolarmente richiesti i tenerelli cuccioli), che poco dopo gli verrà servita su un piatto fumante. Per aver denunciato quest’usanza, definenendola “barbara” (qual è), Brigitte Bardot, da molti anni in prima linea nella strenua difesa degli animali, è stata minacciata di morte: migliaia di lettere, inviatele soprattutto dalla Korea del Sud, assieme alle minacce di “giustizia sommaria”, hanno tentato di difendere quel feroce costume con la cultura tradizionale... Che altro aggiungere dinanzi a tanto abominio?

Ma, gastronomia canina a parte, Cina e Korea non sono i soli paesi orientali ad esercitare l’infame attività commerciale a spese di innumerevoli animali domestici. Sono in buona compagnia: sia in Asia sia in Europa. Non è più un mistero per nessuno che da anni cani e gatti, allevati con “sistemi artigianali”, vengono impunemente uccisi a decine di migliaia per farne pellicce. Siamo al cospetto della brutale e crudele macellazione di animali da compagnia - cani e gatti – finalizzata al commercio di pellicce. Sul fenomeno è stata condotta un’accurata indagine durata 18 mesi: si è trattato dello sforzo congiunto di “Humane Society of the United States” / “Humane Society International (HSUS/HSI)” e Manfred Karremann, un giornalista free-lance tedesco. In Italia la denuncia viene dalla LAV, l’attiva Lega antivivisezione, che da mesi sta indagando su medie aziende italiane coinvolte in un traffico internazionale di pellicce, un “affare” che causa ogni anno la soppressione di non meno di due milioni di bestie, fra cani e gatti, le cui pelli vengono usate soprattutto come inserti per cappotti, guanti, colli, cappelli (e vari accessori). Queste pelli provengono - secondo la LAV - da piccoli allevamenti di cani e gatti situati in Cina, Thailandia, Filippine e Corea, ma che – duole dirlo – sono utilizzate da aziende di produzione e di intermediazione italiane (con sedi in Veneto, Toscana, Liguria, Piemonte, Abruzzo, Trentino-Alto Adige e Sicilia). S’intende che partecipano al turpe business, anche aziende di altri paesi europei (tra cui la Germania).
Da qualche tempo si ha notizia dell’uccisione in Europa di splendidi pastori tedeschi per 9 dollari, le pelli conciate del gatto vengono addirittura “svendute”: a meno di 3 dollari ciascuna. Che ne dicono i produttori? si stringono nelle spalle. Pazienza, sembrano dire: bisogna contentarsi, per ora il mercato non offre di più. Anche quest’orribile realtà è stata denunciata dalla LAV, nel corso di una conferenza stampa attraverso un video ed alcune foto (realizzate dalla Humane society of the United States). «Questo squallido commercio – ha spiegato Roberto Bennati, responsabile della campagna antipellicce della LAV - è reso possibile da un sistema di etichettatura ingannevole per i consumatori, che acquistano capi con la dicitura ‘dogues du Chinè, ‘Asian wolf’, ‘Wild Cat’, mentre la pelle di cane viene spacciata anche per pelle di agnello, di capra, o come ‘special skin’».

Chi indossa pellicce è dunque avvisato: contribuisce concretamente ad alimentare un infame commercio che non risparmia i nostri più fedeli amici a quattro zampe. «La contraddizione - aggiunge Bennati - è che in Italia è un reato penale, in teoria perseguibile, maltrattare un cane o un gatto, o abbandonarlo, ma poi non è per nulla vietato importarne o usarne la pelliccia!».

La LAV si è rivolta direttamente ai ministeri dell’Industria e del Commercio Estero per bandire, entro tempi brevi, l’importazione di pelli di cani e gatti ed introdurre l’obbligo di un’esplicita etichettatura per tutti i capi confezionati con pelli e pellicce. ”In questo commercio insanguinato non sono coinvolti solo animali randagi, ma anche cani e gatti appositamente allevati in strutture, spesso a conduzione familiare o comunque di dimensioni medio-piccole - ha dichiarato Rick Swain, responsabile investigazioni della “Human Society”.

Ma proviamo ora a far i conti in tasca al medio allevatore italiano. Una singola pelle di visone è venduta, in alta stagione, nel nostro paese dal manager al costo di Euro 41.32 (corrispondenti a 80.000 delle vecchie lire), mentre, nella bassa stagione, il costo è di Euro 20.66 (L. 40.000). A queste cifre vanno eventualmente aggiunte l’IVA e il costo della concia di ogni singola pelle. Secondo l’ISTAT una pelle di volpe vale molto di più, fino a 61.98 Euro (L. 120.000). Ecco che un allevamento medio di 2 mila visoni consente un guadagno minimo di Euro 41.316 / 82.633 l’anno (L.80-160 milioni). Le spese di gestione sono ridotte al minimo. Ovviamente non c’è assistenza veterinaria, il cibo è economico al massimo, la struttura è quasi sempre spartana, il più delle volte composta di una semplice tettoia. Si consideri, infine, che la quasi totalità degli allevatori italiani svolge anche altre attività.

«Poche settimane fa la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti – ha dichiarato la LAV - ha votato un documento che, se approvato, bandirà per sempre l’importazione di pelli di cani e gatti negli USA, come da noi richiesto». La Lega ha iniziato una mappatura del fenomeno delle “pellicce domestiche” per conoscere le ditte ed i canali di distribuzione coinvolti. Fra le prove, la LAV cita anche una nave di proprietà di una compagnia cinese, in viaggio verso la Repubblica Ceca: ufficialmente destinata (si dice) a rifornire l’esercito ceco. Conteneva 11.924 libbre (5.329 kg) di giacche confezionate con le pelli di gatto domestico, equivalenti all’uccisione di 40 mila / 55 mila animali. Nella maggioranza dei Paesi del Pianeta, non esistono legislazioni che li proibiscano, nè norme e consuetudini che ne tutelino i diritti più elementari facendo argine alla mostruosa brutalità dell’Uomo. La verità è che dappertutto le bestie soffrono atrocemente, subiscono orribili sevizie, spesso del tutto gratuite, compiute spesso sotto lo sguardo incurante di molte persone, abituate a considerarle alla stregua di cose inanimate. Nient’altro che oggetti. Ma, ancora una volta, non occorre andare lontano: di episodi violenti e immotivati sugli animali se ne riscontrano ovunque. Palermo non fa eccezione. Di recente, proprio nella nostra città, si sono verificati episodi d’incredibile brutalità. Poliziotti grandi e grossi si sono ritenuti in pericolo in quanto – secondo le loro dichiarazioni – sarebbero stati sul punto d’essere aggrediti da poveri cani. Nel mirino, fra gli altri, un bastardino di nome Bobo, ben noto nel quartiere per la sua mansuetudine. Ma il nostro animale s’è incontrato con un poliziotto ch’è un dritto, col quale non si scherza, che giustamente teme per la propria incolumità: come dargli torto in una città affollata da bastardini feroci come belve! Dunque, che altro poteva fare il nostro bravo sceriffo a difesa della propria incolumità in pericolo? Ha estratto prontamente la pistola d’ordinanza e da buon pistolero, senza esitazione, lo ha freddato; il povero animale si è abbattuto senza vita sul marciapiede, là, sotto gli occhi esterrefatti e atterriti di decine di passanti: anche di bambini, per i quali quella povera bestia non costituiva certo un pericolo. La Lav si è immediatamente attivata: avrebbe già inviato un fax con la sua richiesta – sospensione del porto d’armi all’eroico agente – alla Questura e alla Prefettura. Beninteso, non c’è da farsi illusioni...

Nondimeno, pur fra tanta barbarie, in Europa qualcosa si muove. Il Consiglio federale svizzero, rivelando una rara sensibilità (che gli fa onore), si è dichiarato da tempo a favore di una nuova disciplina relativa allo statuto giuridico degli animali. In sostanza il principio accolto dal Consiglio elvetico enuncia che la legislazione di un paese civile non deve più trattare gli animali come cose, bensì, in primo luogo, prendere in considerazione - segnatamente nell’ambito del diritto civile e penale - la loro peculiarità di esseri viventi. Su questo piano il Governo Blair segue di poche lunghezze quello Svizzero. L’iniziativa (ripresa poco tempo addietro in Italia da “Messaggero” e “Repubblica”) è stata presentata da Elliot Morley, sottosegretario all’Ambiente di Sua Maestà: «Dobbiamo modernizzare le nostre norme – ha dichiarato - fissare degli standard minimi per gli animali affidati alle nostre cure. Abbiamo l’obbligo di trattarli in un modo degno di una società civile». Così, per tutelare gli animali domestici, la Gran Bretagna, patria della Magna Charta degli umani, ha proposto una “Carta dei Diritti” degli animali. Se la legge verrà approvata, ogni abuso o maltrattamento verrà perseguito da polizia e protezione civile. Ma, ad onor del vero, anche nel nostro Paese non manca qualche iniziativa encomiabile, che vale la pena di segnalare. Peccato che si tratti però solo di realtà isolate in un mare di colpevole indifferenza, superficialità e noncuranza. La notizia arriva dalla Toscana. Sarà presto realtà nel comune di Figline (in provincia di Firenze) una “Carta degli animali”, una sorta di regolamento elaborato per la tutela e per la gestione degli animali, un documento che detti le norme di un comportamento corretto nei confronti dei nostri amici a quattro zampe. La giunta spera di riuscire a far approvare la Carta entro l’estate, che, come sappiamo, è la stagione più pericolosa per gli animali a causa dei continui abbandoni.

“Se ci riuscissimo - spiega il vicesindaco Luciano Tagliaferri - molti problemi verrebbero risolti. Inoltre vogliamo arrivarci – sottolinea - prima che inizi il periodo delle ferie, e con esso quello dell’abbandono degli animali. Soprattutto dei cani”.

In concreto la Carta degli animali affronta il problema dei maltrattamenti, poi con particolare attenzione quello degli avvelenamenti, mentre un intero paragrafo è dedicato all’abbandono. Nel documento di Figline si stabiliscono anche le regole sul come e dove tenere l’animale. “Il regolamento - conclude il vicesindaco - è rivolto sia ai cani che ai gatti, ma ci sono norme che riguarderanno anche i pesci, i volatili e gli animali acquatici. Il tutto raccolto in un libro da distribuire presto ai cittadini”.

Sugli avvelenamenti di cani – la classica, vile polpettina intrisa di stricnina – Palermo ha rivelato di non essere da meno di altri luoghi, tristemente noti (come, per dirne una, alcune zone del ravennate). E’ stato stabilito che non si tratterebbe soltanto dell’opera di alcuni psicopatici che disseminano la città di sostanze tossiche per poi veder morire, fra atroci spasmi, gatti e cani di quartiere: ognuno, si sa, si diverte in base alle proprie inclinazioni. Ma chi ha interesse a disseminare sul marciapiede cibi tossici? A parte il solito psicopatico, secondo le denunce ricevute dalle forze dell’ordine ci sarebbe una categoria ben precisa di individui, cui cani e gatti non vanno giù perchè considerati inquinatori del suolo antistante l’androne dell’edificio di cui sono custodi. Si, a quanto sembra, i portinai di diversi, eleganti stabili di Palermo sarebbero in cima alla lista dei sospettabili di eccidio animale mediante avvelenamento camuffato da cibo: la polpetta alla stricnina, infatti, continua a far stragi di povere bestie, mettendo al contempo a repentaglio anche la salute di esseri umani. Il sistematico maltrattamento di povere bestie, la loro soppressione, sarebbero, secondo autorevoli relazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), un segnale allarmante di malattia mentale. L’Oms ha inserito la crudeltà fisica nei riguardi degli animali tra i sintomi del disturbo della condotta. Nelle biografie di alcuni famosi serial killer - spiega la dottoressa Pagani, una psicologa - “sono presenti episodi di violenze, spesso atroci, nei confronti di animali, compiuti nell’infanzia o nell’adolescenza. La ricerca psicologica ha comunque dimostrato che i comportamenti crudeli verso gli animali possono non solo precedere nel tempo, ma anche seguire altri comportamenti antisociali o verificarsi in concomitanza con essi”. E’ stato inoltre evidenziato, in sede clinica, che i casi di crudeltà verso gli animali sono molto frequenti nelle famiglie dove la violenza è esercitata anche nei confronti di persone, in contesti dove le forme di aggressione fisica contro persone sono più gravi.

Si diceva all’inizio che quello dell’abbandono è ormai - da decenni - un crudele rito annuale, che si consuma di solito nei mesi caldi, quando, nell’imminenza delle vacanze, migliaia di buone famiglie italiane abbandonano al loro destino,
in media dai 60 agli 80 mila cani: circa novantamila furono nel 1998.

L’anno scorso, nella sola provincia di Palermo, ne sono stati abbandonati oltre un migliaio. Altrettanti, al contempo, ne sono stati calcolati in provincia di Como. Nella capitale dell’Isola, Biagio Conte, un attivo frate laico dell’Associazione “Speranza e carità”, ha cercato di salvare alcune di queste sventurate bestiole dalla strada; ne ha condotte alcune al canile cittadino, dove s’è trovato però al cospetto di uno scenario così degradato che definirlo penoso dà appena una pallida idea della realtà. Il frate non ha esitato a denunciare lo stato-limite in cui versa il canile palermitano, dove - ha segnalato a chiare lettere - avvengono fatti aberranti: dai continui maltrattamenti al sovrannumero, fino alla frequente soppressione di animali mediante feroci lotte di branco (innescate per diversivo dai guardiani del “Lager”). La situazione è resa più seria dall’ubicazione centrale del canile, all’interno del centro abitato (la zona dell’Orto Botanico e della stazione ferroviaria). La struttura del canile risale agli inizi del secolo scorso (1901). Ad ogni ora del giorno gli abitanti dei vicini condomini, e gli stessi frati del convento, assistono dalle finestre ad uno spettacolo di grande squallore e disfacimento, da cui si sprigiona un lezzo insopportabile. Oltre al resto, gli inquilini lamentano di dover subire, giorno e notte, il clamore lacerante di latrati e ringhi. Hanno sporto denuncia al Comune e alla Magistratura, ma finora senza risultato. Da qualche tempo sono presenti nel canile anche una quarantina di Pitt-Bull. Essendo bestie piuttosto aggressive (per l’addestramento ad hoc ricevuto) per ospitarli sono state utilizzate parte delle già poche gabbie in dotazione al canile: un pitt-bull per gabbia. Gli altri cani – una folla straziante e ululante di bestie affamate, malate, sfibrate dagli stenti (che urlano senza sosta la loro disperata sofferenza) - hanno dovuto quindi stringersi fino all’inverosimile nelle poche gabbie rimanenti: fino a venti per gabbia! Si consideri che il canile di Palermo accoglie attualmente circa 200 cani, ma la struttura è appena adatta a ospitarne - e disagevolmente - una quarantina.

Forse (forse!) il Comune di Palermo dovrebbe provvedere al riguardo, assumere le opportune iniziative che, in una città civile, la giunta compie motu proprio: nel caso specifico, l’Amministrazione comunale - destinataria di lettere di lamentela da parte degli abitanti della zona, costretti a vivere accanto ad una realtà così gravemente deteriorata - dovrebbe attivarsi senza ulteriori spinte e sollecitazioni. La situazione parrebbe inoltre di emergenza sanitaria, essendo nella struttura visibilmente assente ogni elementare forma di igiene. Insomma, se non si vuol farlo per quelle povere bestie, si provveda, quanto meno, per l’obbligo civile dovuto ai cittadini che hanno il diritto di vivere in un ambiente sano e tranquillo. Anche questo, crediamo, rientri in “un impegno preciso”: o no?.

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