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9 Ottobre 2005 - Napoli - FNAC

Intervista a Marco Parente

 

foto di Luigi Farina © 2005


 

foto di Luigi Farina © 2005

INTERVISTA A MARCO PARENTE

di Luigi Farina

 

9 Ottobre 2005 - ore 19 - Mi trovo alla FNAC di Napoli dove fra qualche minuto Marco Parente presenterà il suo ultimo CD con uno Showcase che anticipa di qualche ora il concerto al Velvet. Vengo accolto con molta simpatia ed interesse e inizio la mia intervista.

biografia

 


Partiamo dalla tua esperienza da musicista: sei partito suonando la batteria con diverse esperienze con altri artisti, per poi metterti, diciamo, in proprio. Come è stato questo inizio?

Forse ora a posteriore mi rendo conto che non mi interessano i ruoli, mi interessa la musica. E questo ormai l’ho capito e capisco anche a questo punto un pò il percorso che ho fatto. E anche il ruolo di batterista che spesso ricorre, e che non nego assolutamente, però era come incominciare, si parte da qualche parte, e in quel caso li io mi sono ritrovato a suonare e ad interpretare la batteria come strumento, però sempre con un occhio e con uno spirito che era interessato a tutto ciò che c’era intorno, non era mai solo lo strumento quindi tutta la parte un po’ accademica dello studiarlo approfondirlo, no, era lo strumento che mi sono ritrovato a suonare, anche un po’ per caso come succede quando vuoi fare il primo gruppetto e manca il batterista, a me comunque piaceva come idea la parte del batterista e quindi ho incominciato un po’ ad approfondire quello strumento li; però fin da subito cercando di inserirlo in quello che era un discorso musicale, che poi alla fine è venuto fuori via via. Quindi sia quando ho suonato con Chimenti o con il mio primo gruppo, la batteria era l’ultima cosa che io andavo a vedere, andavo a vedere l’arrangiamento, a seguire la recitazione del cantante, quindi mi interessava quel mondo, e di quel mondo mi interessava tutto. Chiaramente poi mi sono trovato un po’ confinato un po’ costretto, quindi c’era qualcosa dentro che mi diceva non sono contento, ancora non ci siamo, sono insoddisfatto e soprattutto poi alla fine ho scoperto la voce, molto tardi, e questo scoprir la voce mi ha fatto cambiare completamente direzione, mi ha fatto prendere consapevolezza del fatto che potevo cantare, e questo non era scontato per me, anzi fino da allora era escluso. Mentre invece nel momento in cui mi sono sentito credibile si è aperta un’altra porta, e a quel punto quello che era stato un po’ il senso di frustrazione o di insoddisfazione è scomparso, quindi questo mi ha fatto dire: “meno male, meglio tardi che mai, è arrivata la svolta”, ed ora mi sto vivendo la svolta semplicemente, nella maniera più naturale possibile perché poi alla fine mi sembra di farlo da sempre.

Tu metti molto di te nelle tue canzoni, nei tuoi brani musicali, quanto c’è della tua vita vissuta in quello che produci?

Più di quello che mostro normalmente. E’ il posto dove non riesco a non essere me stesso, ed è il posto dove riesco ad essere me stesso, e basta, per cui c’è tutto di me qui dentro, con un occhio che è il mio occhio, quindi non è che metto in piazza quella che è la mia vita quotidiana, ma anche. Però lo prendo da un altro lato chiaramente, però è assolutamente ciò che sono e ciò che vivo, ciò che vedo, ciò che osservo, ciò che ascolto, ciò che non mi sta bene, ecc. ecc.

Visto che sei molto critico verso il mondo che ti circonda nelle tue canzoni, quanto ti influenza la negatività e quanto invece ti influenza la positività? La mia impressione è che sei più spinto a criticare le cose negative, quelle che subiamo, di questo mondo.

Io alla fine sono un ottimista, mi considero un ottimista, e proprio per questo quello che scrivo nelle canzoni non ha niente a che vedere con l’ottimismo, quella è una parte che mi vivo io, però viene naturale nel momento in cui invece affronto la parte artistica, che poi non è che non coincide con quella personale, come ho detto prima. A quel punto non sono pessimista, sono critico, hai detto bene, non sono un pessimista, perché non credo nel pessimismo, credo nell’osservare le cose e osservarle da un certo punto di vista, quindi secondo me ha molto più a che fare con l’obbiettività il fatto di essere negativi, perché ci sono tante cose… Voglio dire essere spensierati e ottimisti è uno sforzo che devi compiere molto forte, proprio perché quello che hai davanti, se non vuoi far finta di niente, non è semplice, ed ha a che fare con la critica, e quindi con prendere coscienza, consapevolezza di una serie di cose che tu osservi, che senti. Questo spero mai mettendomi in nessuna cattedra di nessun tipo, cioè io me le vivo quelle contraddizioni e quelle sofferenze li, e quelle critiche li me le vivo perché sono cose che io dico principalmente a me stesso, non faccio una critica esterna, assolutamente, anzi ora con questo disco in particolare sono proprio immerso tra la gente e sono con tutti gli altri, faccio quello che posso fare, che mi sento di fare e che riesco a fare.

Parlaci appunto di questo tuo ultimo lavoro, neve ridens , di cui è appena uscita la prima parte, diciamo il primo capitolo, dandoci anche qualche anticipazione sul secondo.

Il secondo capitolo è l’altra faccia del primo, sono veramente due facce di una stessa medaglia, dove spesso ricorrono addirittura stesse frasi, stessi ritornelli, però in un contesto con un approccio esattamente il contrario cioè l’altra medaglia, quindi questo io lo considero un disco, tra virgolette, tra molte virgolette, politico come atteggiamento perché reagisce, cioè le cose le afferma con molta forza e reazione, quindi c’è un atto di movimento in questo senso. L’altro è l’esatto contrario è riflessivo quindi per me, tra altre molte virgolette, è poetico come lavoro. Sono due facce che si appartengono, anche se sono di spalle, perché sono nella stessa medaglia e non si incontreranno mai, ma si appartengono imprescindibilmente perché sono la stessa cosa.

Tu hai parlato di poesia, c’è molta poesia in quello che fai. Quanto è importante la poesia, mi riferisco in questo caso al testo, e quanto è importante la musica? Come le raffronti insieme? Come lo senti il rapporto tra musica e poesia?

Se tu per poesia intendi la parte letteraria, penso che, anche se io tengo tantissimo alle parole, e mi logorano, e ci passo molto tempo, la parola per me deve diventare musica, alla fine l’ultima cosa che deve essere è li, sono integrate, è la musica, per me una parola “neve ridens” è musica quindi nemmeno ti dico perché “neve ridens” nel senso letterario del termine o concettuale, no, nel senso musicale, io sono un musicista e voglio fare musica, e quindi la parte poetica, quella che tu dici nel testo, mi interessa che sia uguale a quella di una chitarra e di un pianoforte. Poi, tutto ciò che è la speculazione che si può fare sul testo, cosa vuoi dire, cosa non vuoi dire, …, lo capiamo insieme. Però per me è fondamentale che la parola diventi musica e non viceversa.

Parliamo adesso di in un’altra forma d’arte, cioè la gastronomia, tu hai parlato di armonia e anche nella gastronomia c’è armonia. Parlaci del tuo rapporto con essa e che accostamento vedi fra musica e gastronomia.

Guarda è lo stesso della poesia che diventa musica, secondo me il cibo deve e può essere musica, assolutamente, un buon vino, una buona pietanza, stare a tavola, ha molto a che fare con quello che normalmente si vive nel mondo della creatività, io trovo che sia una delle forme d’arte più creative e che continuerà a rinnovarsi rispetto alle altre che invece soffrono. Soffre la poesia, soffre la letteratura, soffre il cinema, soffre la danza, sono tutti come se avessero un apice che sta un po’ per concludersi. Il cibo no! Forse perché è la prima cosa, la prima necessità. Se abbiamo sete dobbiamo bere, se abbiamo fame dobbiamo mangiare, e viene prima del cantare o del suonare o del dipingere, e quindi in questo caso il cibo serve per sostenere gli altri sforzi, lo sforzo creativo, lo sforzo dell’arte e della vita

Che rapporto hai tu personalmente col cibo?

A me piace un sacco mangiare, anche se non si vede tantissimo. Mi piace molto bere. Non sopporto mangiare da solo, e se, per esempio, sono da solo è difficile che mi cucino, perché è una cosa che credo che è automatica come l’amore, diventa condivisione, quindi mi piace un sacco passare del tempo a tavola, più che stare in un locale a bere, preferisco fare una cena e passare del tempo, molto tempo, a tavola.

Con i fornelli invece come te la cavi?

Mi diletto, ogni tanto, ci metto molto amore, quindi almeno quanto mi dicono, se faccio un piatto di pasta, per quanto semplice chiaramente sarà, che riesce bene, è perché ci metto tanta passione.

Tu sei nato a Napoli, anche se ti sei trasferito giovanissimo a Firenze. Cosa ti è rimasto della tradizione della tua terra natia, nel senso di cucina, e c’è qualcosa che ti manca? Dall’altro lato come ti sei trapiantato nella cultura gastronomica toscana.

Alla fine sono finito in toscana, quindi sono finito dalla padella nella brace, per usare un termine cuciniero. L’unica cosa che ricordo da piccolo, a sette anni, quando sono andato da Napoli in Toscana, la prima cosa che è stato un po’ un trauma è stato il pane “sciocco” che c’è in Toscana, rispetto a quello “bello” che c’è a Napoli. Ormai ci ho fatto l’abitudine. Per il resto l’ho mantenuta, perché comunque fino a che sono stato con i miei, mia madre è svedese ma cucina assolutamente in maniera italiana, quindi non mi sono mancate le cene in stile napoletano. Poi sono curioso, mi piace veramente di tutto, dal pesce crudo, a tutto …, anche se affermo con sicurezza che la cucina italiana è imbattibile.

E visto che tu hai girato per tutta l’ Italia qual è quella che ti ha stuzzicato o affascinato di più?

Forse quella che non mi annoia mai è quella del centro Italia, perchè se da una parte vai al Nord diventa pesante, anche se con piatti buonissimi, al Sud uguale, al centro è pesante uguale, però forse perché ci vivo e la conosco più a fondo, la cucina toscana mi piace di più.

Per chiudere, ritornando alla musica, hai spesso collaborato con altri artisti come ultimamente con la Millenium Bugs’ Orchestra o con Manuel Agnelli, hai qualcos’altro in programma per il prossimo futuro?

In realtà vorrei essere molto concentrato. E’ partito il tour di questo ultimo lavoro e me la voglio vivere faticandomela il più possibile, però nemmeno divagando come ho fatto nel passato fino ad oggi. Esiste già da novembre una cosa per me parallela, che io integro benissimo, con la parte poetica, appunto con Bertoli della City Lights. Faremo un giro, che ho gia fatto l’anno scorso, tra Belgio e Francia, ma questa è un’altra cosa, un’altro modo di performans dove la parola assume un altro tipo di valore, la performans anche, che non è il concetto quindi le canzoni… Questa è l’unica cosa che mi ritaglio in questo momento di diverso, perché per adesso vorrei insistere sullo stesso tasto.

 

Ringrazio Marco Parente per la disponibilità e gentilezza con cui ha accettato di rispondere alle mie domande e lo saluto con un grosso in bocca al lupo per il futuro.

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segnalato da Spaghetti Italiani - Portale di Gastronomia