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18 Febbraio 2007 - Roma

Intervista a Ennio Rega

 

foto di Luigi Farina © 2007


 

INTERVISTA A ENNIO REGA

di Luigi Farina

 

18 Febbraio 2007 - ore 12 - Mi trovo a Roma per incontrare Ennio Rega, uno degli autori-cantanti più interessanti della scena musicale italiana di oggi, per parlare del suo modo di vedere la musica e dell'ultimo suo lavoro appena pubblicato, "Lo scatto tattile". Vengo accolto con molta simpatia dall'artista campano, che risponde alle mie domande a ruota libera dimostrando sensibilità e sopratutto voglia di esprimere il suo pensiero con la massima libertà, esaltandosi o bacchettando il mondo che ci circonda quando è necessario, rispecchiando a pieno quanto si può leggere a chiare lettere nel suo ultimo lavoro. 

biografia

 


Cominciamo parlando del connubio musica poesia, che a me pare ancora molto più accentuato nel tuo ultimo lavoro: "Lo Scatto Tattile", in confronto al precedente "Concerie".

I miei temi sono sempre gli stessi, vengo dal sud ed ho una particolare sensibilità per l'emarginazione, ed ho una predisposizione naturale a saperne parlare.
Io sono nato in un carcere, ne sud Italia, nel cilento, vicino Salerno. Mio padre faceva, quello che allora si chiamava "carceriere". Noi abitavamo al piano di sopra e sotto c'erano le carceri. Mi sono formato così, io giravo con il triciclo e i carcerati mi insegnavano... Non erano assassini, erano ladri di galline, con piccole pene, quelli più pesanti li portavano a Salerno. E forse da qui nasce la mia predisposizione a parlare di emarginazione.
Tornando alla tua domanda, "Concerie" racconta sedici storie vere, per parlare di particolari personaggi che mi colpiscono, che sono i temi di queste storie e che sono dei perdenti. Per varie ragioni sono perdenti. Apparentemente sconfitti, ma secondo me non sconfitti, anzi paradossalmente vincenti, per vari motivi. Quindi era un album che metteva un po' il dito nel dramma del vedersi vivere quotidiano, dell'essersi vissuti dalla realtà. Questo album non era privo di poesia, assolutamente, anche perchè io pongo una particolare attenzione a curare i testi, cercando la sintesi. Non è facile, è difficile raccontare una storia in tre strofe, saperlo fare è difficilissimo. Ci riusciva in Italia soltanto uno, che era De Andrè, che era grandissimo, al di sopra di tutti. Poi diciamo la verità era il primo, il più grande. In una canzone riuscire ad avere il dono della sintesi è una cosa importante, ed è una finalità che io mi pongo. Questo ultimo album, "Lo Scatto tattile", praticamente analizza poeticamente le ragioni di "Concerie", di quei personaggi, e tutto ciò l'ho potuto realizzare attraverso un'introspezione dentro di me, su me stesso, entrando nella mia interiorità e scavando dentro. Quindi è un album che scende nello psicanalitico. E' una parola che dicono di non usare, non so perchè. Anche i musicisti che suonano con me mi dicono: "Non dire sta parola...". E io mi chiedo perchè, che c'è di strano? Ce l'abbiamo tutti, l'auto analisi la facciamo quotidianamente. Devo dire che all'inizio ho avuto un po' di resistenza a fare, qui si scivola, si corre e si cammina, stare a toccare certe cose di me stesso mi è risultato all'inizio un po' pesante, non c'ero più abituato. Non sono mai andato dallo psicanalista, per esempio, non ho mai fatto analisi, pur avendo un sacco di problemi, che mi gestisco da me. Quindi è stato un po' forte, anche se è stato sempre più stimolante. C'è un brano che si chiama "Shaker", per esempio, che ho chiamato così, perchè stavo qui, in questa Roma assolata di Luglio con 40° all'ombra, e già la ragione per colpa di questa cosa se ne va, e io stavo li a chiedermi che tipo di canzone dovevo scrivere, mi mancavano un paio di brani, ad un certo punto ho parlato di come si entra nello shakeraggio, come si ci shekera il cervello nel momento in cui uno abbandona, si allontana da questa pseudo realtà che ci circonda e la va a cercare nella poesia. Quindi più penetri nella realtà, quella vera, che non ha niente a che vedere con il mondo scontato, con tutto quello che diamo per scontato oggi, e più ti shekera il cervello, paradossalmente più ti avvicini al reale, alla vera realtà, alle cose vere, quelle di cui parlava Pasolini, che ha parlato molto di queste cose ed è stato un precursore, già negli anni '70 diceva cose attualissime oggi, come per esempio quando diceva: "Vedi questo umile viottolo di campagna, bisognerebbe difenderlo con la stessa forza con cui si difende un'opera d'arte...": Oggi di tutto ciò non importa più a nessuno. Quindi la realtà sta li in quel viottolo di campagna. Allora cercare questa realtà dentro di noi, questo viottolo di campagna dentro di noi, è un'operazione difficilissima.
Poesia in questo album ce ne è tanta, ho pure rivisitato due poesie di Pessoa, musicandole.
 

In uno di questi due brani, "La Poesie", Pessoa dice "So che non sarà mai scritta, so che non so cosa sia..", quasi a rafforzare questa difficoltà, di cui tu parli, a scavare cosa si sente dentro.

Questo è un brano che amo moltissimo. Ognuno di noi, chiunque abbia una predisposizione verso una forma artistica, chiunque abbia una sensibilità particolare, non necessariamente un pittore o un creativo, penso che la gente comune, basta che non siano nazisti, ottusi o gente stupida, una persona sensibile e normale ce l'ha una lucetta dentro, dei bagliori, dei flash, di un qualcosa che vorrebbe esprimere a parole e non ci riesce. Io sono convinto che c'è questo aspetto dentro di noi, io ce l'ho in modo forte, ho delle luci dentro di me, che vorrei poterne parlare, però non ce la fai, sono talmente enormi. E' un po' un fatto misterioso, il mistero dell'esistenza. Sono talmente enormi, più grosse di noi, che non ce la fai. Pessoa diceva questo: "Vorrei dirla, ma non riuscirò mai a dirla."
 

Continuando a parlare del tuo ultimo album, parlami un po' delle "zanzare" che ogni tanto accompagnano delle voci che recitano o parlano a ruota libera e introducono l'argomento del brano successivo.

Anche durante i concerti live usiamo questi intermezzi dove ci parlo io sopra, non c'è la zanzara, c'è un tema classico che la contrabbassita Tina Muto, che mi segue con tanta passione. Finita una canzone, comincia lei il tema classico, e il pubblico capisce che sto per leggere qualcosa, o dire qualcosa, visto che durante i concerti leggo spesso dei passi con parole forti, Celine, Pasolini, o Piero Ciampi, che forse è l'unico cantautore a cui mi sento veramente vicino.
La zanzara vuole essere un disturbo. Non so se ti ricordi Christo, quell'artista che venne a Roma negli anni '70, che impacchettò tutte le Mura Aureliane. Noi viviamo in questa città, ma la conosce meglio un americano. Non ci rendiamo conto della bellezza che abbiamo intorno. Alle Mura Aureliane ci passiamo vicino come se fosse un palazzo qualsiasi. Allora questa zanzara ha la funzione di disturbo per attirare l'attenzione su qualcosa. Ho intervistato due ragazzi, uno è un "borgataro", come lo chiamiamo noi, un ragazzo di periferia. Fra questi ragazzi, e Pasolini già lo sapeva, ci sono dei geniacci. Questo ragazzo per un'ora e mezzo ha detto delle cose in romanaccio, io gli ho dovuto cambiare, camuffare un po' la voce, in romanaccio lento non funzionava, era troppo, allora l'ho dovuto alterare, però geniale, in un'ora e mezzo non ha detto una banalità, non ha detto un luogo comune, ha detto tutte cose grandi. Il secondo è un attore italiano che sta venendo fuori, che si chiama Daniele Timpano, anche lui a modo suo particolarissimo. Poi ho fatto parlare una donna libanese ad introduzione di un brano contro la guerra, sempre con questa zanzara che partiva sopra. A me di scrivere solo canzoni non me ne frega niente, mi piace il teatro, mi piace l'aspetto teatrale. Siccome un album dovrebbe essere un po' come un libro, non deve essere come ragionano i discografici: "Mettiamoci il pezzo di punta,...", che già lui è una cazzata, e poi una infinità di banalità, pezzi inutili, inascoltabili. Per me è un po' come un libro, è una cosa nobile, per cui cerco di dare al pubblico o all'ascoltatore una novità. Nel precedente c'era Flavio Bucci, c'erano altri attori, c'era mio fratello Massimo Venturiello, che è un attore abbastanza stimato.
 

Dopo aver parlato delle parole del tuo lavoro, parliamo della musica, a cui, si legge a chiare lettere ascoltando il disco, dai molta importanza sia nella composizione, che negli arrangiamenti che nell'esecuzione, con contaminazioni che vanno dal rock, al jazz, alla classica.

Si a me piace molto spaziare, sono un appassionato. Il jazz non è una cosa che si può imparare soltanto facendo un corso o andando a scuola, il jazz ce l'hai o no. E' un modo di essere. Pur non essendo un pianista jazz, non essendo un esperto di jazz, ce l'ho di istinto molto forte, per cui mi butto, mi lascio andare. Però mi piace integrare al jazz e al pop, in fondo io sono uno formato musicalmente negli anni '70, il Rock, il Rhythm and Blues, io ero un cantante Rhythm and Blues, sono nato come cantante chitarrista, ho fatto parte di gruppi importanti a Roma, poi smisi. Quindi vengo da quella scuola li e me la porto appresso, quindi l'anima rockettara non può non esserci nella mia musica, ma anche nel precedente c'erano due brani come "Soldatino" e "Terrone" di grande tiro. Come dicevi tu ci sono anche contaminazioni di musica classica, visto che ho studiato pianoforte per cinque anni, quindi il classico ce l'ho un po' dentro. Quindi mi piace eseguire queste contaminazioni, ed ho un istinto forte, questo me lo riconosco, per la colonna sonora. Ci sono molti temi musicali bellissimi in questo album e a me piacerà continuare su questa strada, sui temi musicale che vengono fuori, ed ho un progetto questo anno di rivisitare il meglio di "Concerie" e "Lo Scatto Tattile" in un live da fare in trio, con magari sovraincidere qualcosa come un quartetto d'archi, più due tre brani nuovi. Deve essere un "live", con il pubblico. In una sala di registrazione io sono sempre molto contenuto, limitato, stai li che ti devi misurare con la strumentazione della sala, con il fonico dall'altra parte, ci sono un sacco di limiti nel rendere veramente quello che sei, "live" sono un po' di più, sinceramente, mi calo di più nelle cose, anche perchè hai macinato di più i pezzi, li hai fatti più tuoi, per cui nel "live" do moltissimo. Per me la musica è una cosa molto importante nell'album, non è una cosa che scrivo perchè sia funzionale alla vendibilità, perchè questo lavoro non è un mestiere. Quindi, innanzi tutto la musica deve essere importane, l'armonia che vado a cercare non deve essere consueta, se una progressione armonica è troppo consueta, per me è inaccettabile, ad un certo punto la vado ad interrompere, se deve passare per forza da un accordo all'altro, perchè così è la morte sua, io li la vado ad interrompere e mi invento qualcos'altro. Questo rende il mio lavoro assolutamente meno commerciale, si confronta di meno col mercato, però se noi pensiamo al mercato facciamo il gioco dei discografici e non portiamo niente di nuovo, a me piace fare questo lavoro cercando di innovare la canzone d'autore, con i miei mezzi creativi che sono tanti, e con il mio bagaglio tecnico che sta crescendo, perchè davvero non se ne può più di sentire questo stereotipo della canzone d'autore, che forse piace agli organizzatori, il cantautorato un po' melenso, chitarristico. De Andrè, anche lui suonava la chitarra e di musica ne capiva poco, ma era un innovatore, profondamente un innovatore. Quando un artista è tale davvero ed ha dentro un'urgenza, non sta ad appoggiarsi sulla consuetudine, inevitabilmente va a cercare qualcosa.
 

Abbiamo parlato della poesia e della musica, parliamo adesso della tua voce, che spesso pare urlare con rabbia la tua denuncia, più che cantare, chiudendo, a me pare magistralmente, il cerchio intorno al messaggio che vuoi lanciare.

Io ho un vocione pazzesco, la fonica americana che ha mixato l’album ha dovuto comprimere parecchio, mi sono formato negli anni degli Area, …, di quei gruppi dove si cantava, ed ho delle doti vocali abbastanza notevoli, che non ho mai usato tanto fino ad oggi, ma che ho intenzione di tirare sempre più fuori, difatti in questo album, in confronto al precedente, già canto un po’ di più, già c’è più melodia, c’è una ricerca melodica, … In effetti non ho mai scritto per la mia voce, perchè significherebbe evidenziare al meglio le sue possibilità, ancora adesso parto dall’intenzione di scrivere per la mia voce, per metterla in evidenza, visto che è una carta che mi posso giocare. Per ogni voce c’è bisogno di qualcuno che scriva per quella voce, nessun grande cantante potrebbe cantare altre cose, sarebbe una schifezza. Io non ho mai scritto per la mia voce, perché mentre sto per scrivere per la mia voce, sento talmente il bisogno di essere vero, che ad un certo punto mi allontano da quella roba li. La mia voce so che deve camminare secondo una certa progressione, da 1 a 10, ad un certo punto però facendo quella roba li mi sembra di perdere di verità, allora me ne frego, e vado sulla verità, che è la cosa che mi interessa di più. Tuttavia l’obbiettivo sarebbe quello di unire queste cose e fare qualcosa per la mia voce. Si è vero, ci sono momenti che sussurro, altri che vado su e sparo cose, anche su tonalità improbabili, ma non me ne frega niente.
 

In tutto ciò cerchi di dire sempre qualcosa, toccando argomenti sociali importanti come l’emarginazione giovanile, parlando anche del fenomeno degli ultras, argomento, far l’altro, attualissimo oggi, dopo i fatti di Catania.

Ho intervistato questo ragazzo, che ne conosce tante di cose, questo ragazzo di periferia che introduce questo pezzo. Il titolo, “Un treno di conseguenza”, l’ho preso dalle sue parole. Dimmi che vuol dire “un treno di conseguenza”? In italiano non significa niente. Detto da lui aveva quel significato li, lui è passato dagli indiani d’America all’esercito romano, facendo questi salti incredibili, … Gli indiani d’america non avevano bisogno dello sceriffo, diceva lui, non avevano bisogno di un corpo di controllo, ed è molto vero, perché tutto era di tutti, quindi dall’esercito romano in poi, all’epoca del potere romano, è stato tutto “un treno di conseguenza”, dal momento in cui è entrato in gioco il potere è stato “un treno di conseguenza”, vengono fuori tutte le magagne che ci sono nel mondo attuale, la violenza, le ragioni della violenza, da qui tutto quello che succede, dai sassi dal cavalcavia, i ragazzi che fanno le cose peggiori, che, per carità di Dio non difendo, la mia è una accusa, difatti nel brano si capisce che io li accuso, tuttavia alla società segnalo l’importanza e la grossa responsabilità che ha, dicendo: “La gente che non vuole aver niente a fare con te è la stessa che se ne sbatte anche di chi è nel giusto.” E’ questa la frase, provocatoria, forte, che sintetizza il brano.
 

Parlaci adesso di “Lucciole”, che è uno dei brani autobiografici di questo tuo lavoro, che a me è piaciuto molto.

Lucciole, parla della mia esperienza da bambino, come ti ho detto prima, davanti la porta del carcere a cercare lucciole. Penso che la mia infanzia passato li, davanti la porta di quel carcere, un po’ particolare ed abbastanza unica, sia proprio la chiave della mia originalità.
 

Tornando ad oggi, sei appena rientrato da una data in Friuli. Quando ti sposti hai dei compagni di viaggio provenienti da parti diverse, fra l’altro il chitarrista è svedese, come vi trovate gestire il rapporto con il cibo, durante i vostri viaggi?

Fra di noi quello che ha maggior predisposizione verso il cibo è proprio Lutte Berg, il chitarrista svedese. Per lui è una priorità, viene prima della musica e dello sport, anche se i suoi interessi principali sono proprio la musica e lo sport, ma il cibo viene prima. Io sono uno che spizzica moltissimo durante il giorno, spizzico poche cose, essendo un po’ nevrotico, nevrotico fra virgolette, mi sento una persona serena e tranquilla, però penso di avere una personalità diciamo elettrica, spizzico, fumo, spizzico, fumo,…. Lutte invece, innanzi tutto si fa la sigaretta col tabacco e se ne fa una ogni tanto, con questa sua apparente calma, mentre sul palco, e questa è un po’ la schizofrenia di certi personaggi, sul palco ha la stessa mia grinta, diventa di un grintoso incredibile, insieme siamo una forza, però lui scende dal palco e diventa un’altra persona. Il cibo per lui è fondamentale, conosce tutte le cose svedesi e non solo. Quando viaggiamo ci fermiamo sempre a Pian del Voglio, è una tappa fissa ogni volta facciamo il tratto appenninico ci organizziamo per fermarci li, anche una sosta di tre quarti d’ora. In questo posto, dove di solito si fermano tutti gli artisti, non dico il nome per non fargli pubblicità, soprattutto ti fanno delle grattate infinite di tartufo su tutto. Ieri per esempio abbiamo mangiato tortellini col tartufo, una prelibatezza. Io con il cibo non ho un rapporto paranoico, molto stretto, avrai capito la mia personalità, spesso mangio, mi chiedono cosa ho mangiato e neanche me lo ricordo, perché sto sempre a pensare. La mia testa vola sempre, sto sempre per aria. Tuttavia devo dire che per me il mangiare è importante, e questo penso sia legato anche alla mia infanzia, quando il mangiare era importantissimo, visto che si veniva dal dopo guerra, quando il cibo era importante, mio padre mi insegnava a non lasciare un pezzo di pane, a mangiare ogni cosa. Oggi mia figlia lascia di tutto, …
Fondamentalmente, parlando di cibo, sono legato a tre cose, alla pasta fatta in casa, i ravioli sono quelli che preferisco, è il mio primo piatto, e poi i fusilli fatti in casa arrotolati con il “ferrino”, come li faceva mia madre, e l’osso buco, ma non in bianco, ma fatto al sugo con la pasta. Questi sono le cose fondamentali che adoro. Tutto ciò che è fatto in casa, che risente di quella aria montanara della mia infanzia, di questo paese che stava sotto alla montagna e a 15 km da Paestum.
 

E con il vino che rapporto hai?

Con il vino ho un buon rapporto, nel senso che ne bevo molto, se ho il vino lo bevo. Deve essere assolutamente rosso, secco e fermo.
 

E con i fornelli che rapporto hai. Ti piace cucinare qualcosa ogni tanto, o preferisci gustare quello che preparano gli altri?

Mi piace fare la pastasciutta. Non avendo un gran rapporto con i fornelli ed amando la donna tradizionale, come la mia compagna, classica, romantica, quasi come uscita da un quadro del Botticelli, che ama la cucina. Lei mi impedisce di cucinare, a me piacerebbe farlo la domenica per esempio, come faceva mio padre: mia madre rimaneva a letto e mio padre preparava, dal letto si sentiva l’odore della cucina, mio padre entrava tranquillamente in cucina, lei invece me lo impedisce, perché per lei è così importante cucinare, è una delle cose belle della vita. Io so fare molto bene la pastasciutta alla napoletana, con il sugo forte quello scuro, e come me non la fa nessuno, almeno fra gli amici che conosco, aglio e olio la faccio benissimo, ho avuto dei complimenti e gli applausi, insomma tutto ciò che è legato alle mie radici terrone. Nei secondi non sono un granchè, tranne che la frittata con le cipolla, che sono un mago, la salto e faccio le acrobazie.
 

Quando giri per i concerti ti piace contenerti, o vai a cerarti il ristorantino tipico, per assaggiare le specialità del posto?

Nella prima fase dei concerti c’è sempre molta tensione, visto che io sono quello che fa tutto. I miei amici musicisti, molto bravi, colorano, fanno, tutto bene, però alla fine quello che deve dare le emozioni grosse, chi ha la responsabilità di memorizzare tutti i testi, di mettere a punto venti brani, sono io. Per cui nella prima fase dei concerti c’è un po’ di tensione e non mi avvicino prima al cibo, preferisco che sia dopo il concerto, e soprattutto non bevo. Superati i primi dieci concerti cominciamo a scialare, diciamo, si mangia anche prima di salire sul palco. Di solito abbiamo questa pausa fissa a Pian del Voglio, di cui ti ho parlato prima, poi mangiamo nel posto dove suoniamo oppure ci portano in albergo e si cena li dopo il concerto. Ieri a Buttrio abbiamo mangiato un risotto con funghi, buonissimo, e un filetto, che non mi è piaciuto il fatto che il filetto al sangue, cotto in modo giusto, lo hanno riempito di una salsa al pepe verde che non ho gradito molto, il filetto era ottimo, ma ho dovuto scrollargli di dosso tutto il pepe verde per poterlo mangiare. Per finire devo dire che i miei genitori mi hanno insegnato a mangiare di tutto, non c’è niente che non mangio. Vedo che ci sono delle persone schizzinose, che non mangiano questo o quello, a me mi metti davanti qualsiasi cosa e io la mangio, io mangio tutto.
 

Torniamo alla tua musica: Pessoa dice che la poesia che si ha dentro non è ancora stata scritta, cosa hai dentro di te che ti piacerebbe buttare fuori con i tuoi prossimi lavori?

Lo si capisce dal primo brano del disco, non a caso ho messo “il Camminatore”, come primo, anche se so di spiazzare maggiormente la gente che ascolterà l’album, perchè, partendo da “Concerie”, che è stato un album che ha avuto un ottimo successo di critica e di pubblico, soprattutto nei concerti, vincendo anche dei premi nazionali, il disco dopo o somiglia al precedente, o te lo bocciano, anche se devo dire che sono smentito dai fatti, visto il successo che sta avendo anche questo disco. Ho voluto mettere questo brano come primo, perchè io sono uno che deve camminare, non può stare li a fare il mestiere. E quello che ho dentro io, molto forte, è questo bisogno del viaggio, che è quello che mi da la maggiore soddisfazione, più del cibo o di tutto il resto, potrei pure mangiare le more ed andare avanti a vita, è quello di potere camminare verso questa forma totale di libertà. Io subisco molto pesantemente le imposizioni quotidiane della vita quotidiana, date da tutto, dall'essere marito, dall'essere padre, ..., io vorrei partire, adesso, e andarmene in giro liberamente, camminando e pensando, fermandomi e godendo delle emozioni di tutto ciò che mi circonda, di tutto ciò che vedo nel viaggio. Quello che ho dentro è una grande luce che vorrei vedere o percepire nei viaggi, questa grande emozione, questa grande apertura, questa speranza, questa eternità. Vivere con il concetto del limite, del finito, non è piacevole, è un po' il problema di tutti, per questo dico che, bene o male, certe luci ce le abbiamo tutti dentro. Ho il viaggio dentro, il viaggio verso la speranza, verso la felicità, la libertà. Politicamente non sono collegato con nessun partito, però è ovvio che io sono un anarchico, ero marxista, '68, ho vissuto queste esperienze, in modo molto forte, però fondamentalmente ho uno spirito anarchico, detto non in termini generici, ma culturalmente. Tutto ciò che alla fine conduce al potere, ad una forma di potere, per me è inaccettabile, perchè è un limite, è un'imposizione, è un freno, così come la morte è un freno, al limite, quindi il viaggio è la speranza, questa luce bianca che cerco io, e questo cielo sconfinato che vado cercando. Io cammino moltissimo, per esempio, ogni sera. Molti di questi brani li ho scritti camminando su via Nicola di Rienzo, girando per il Vaticano, via del Corso e poi da piazza del Popolo ritorno, saranno circa 5 km a sera che mi faccio, e camminando il pensiero si mette in moto. Se tu ti trovi a casa fermo e provi a farti venire in mente qualcosa, ti si blocca il cervello, non sai cosa dire, intanto il nucleo familiare ti blocca, ti frena. Uscire e camminare significa mettere in moto il pensiero, tutto quello che hai di buono dentro si mette in moto. Ho un'agendina elettronica e spesso mi fermo e scrivo e così nascono le mie canzoni.

 

Per concludere un'ultima riflessione su questo tuo ultimo lavoro.

Alla base di questo mio ultimo lavoro, a parte del lato poetico di cui abbiamo parlato, c'è l'aspetto sociale, tutto quello che io metto dentro è finalizzato al sociale, non è astratto. Quindi come dico in Un treno di conseguenza, io mi scaglio fondamentalmente contro il luogo comune di dare tutto per scontato, e così come amo profondamente certa gente, te lo senti a pelle, la gente vera, perchè c'è la bella gente, detesto fondamentalmente la furbizia e la megalomania della gente. Il narcisismo che c'è nella gente lo inseguo con cattiveria. Appena mi rendo conto che ho vicino una persona furba, con il sorrisino furbo, di quello che fa il superficialone per fregarti, l'idea che certa gente ha dentro, come unico obiettivo, di fregare te prima che tu freghi me, quello è un mio nemico, non sarà mai un mio amico. Amo la bella gente. Nelle mie canzoni c'è questa rabbia, questo volere sottolineare che esiste la bella gente. Qualche volta sul palco qualche musicista mi dice: "Ennio, mi piace di te, che tu credi ancora nella gente!", in modo ironico, come dire: "Ma sei scemo, credi ancora nella gente?". Si, io ci credo, credo nella bella gente, ne incontro, sono pochi, però ne incontro. Un cantautore, secondo me, ha questo dovere, se no son cantautori tutti, anche Gigi D'Alessio è cantautore, non ha più senso. Invece, secondo me, la figura del cantautore è giusto che ci sia, ma deve servire a toccare delle cose che siano, diciamo, contro corrente, quntomeno.

 

Ringrazio Ennio Rega per la disponibilità e simpatia con cui ha accettato di rispondere alle mie domande e lo saluto con un grosso in bocca al lupo per la sua carriera.

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segnalato da Spaghetti Italiani - Portale di Gastronomia