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Alla sua già numerosa collezione di titoli, il prof. Giovanni
Ballarini, antropologo dell'alimentazione e presidente del Centro Studi
"F. Marenghi" dell'Accademia italiana della cucina, ne aggiunge un altro,
curioso e appetitoso. In "Parole a fette", edito dalla Tielleci di Colorno
(175 pagine, £. 20.000), questo ricercatore-scrittore di Parma, che non
perde mai di vista l'obiettivo della semplice divulgazione scientifica,
spiega in modo accattivante l'etimologia dei nomi e dei
"soprannomi" di tutti i salumi italiani.
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Il primo passo della saggezza, secondo un proverbio
cinese - ricorda l'autore sta nel dare alle cose il loro giusto nome. In
queste pagine, scritte con la chiara intenzione di farsi capire, senza una
terminologia da addetti ai lavori, Ballarini illustra anche la storia di
parole che usiamo abitualmente ma senza mai esserci chiesti la ragione della
loro evoluzione semantica nel tempo. Per "salame", ad esempio, anticamente
s'intendeva il pesce salato e non il gustoso insaccato che, nel nostro
Paese, è prodotto in oltre un centinaio di tipi diversi. Per questa ragione,
una persona non molto intelligente, ancora oggi, è definita
"salame" o "baccalà".
L'autore (che per questa nuova fatica ha abbandonato il
simpaticamente frivolo pseudonimo di John B. Dancer, col quale ha firmato
anche opere di grande spessore scientifico) spiega come la
"via del sale" attraversi tutte le culture umane.
Nell'etimologia di buona parte delle specialità gastronomiche delle quali facciamo abbondante e uso quotidiano,
questa "radice" latina è sempre presente:
"als", sale, per translitterazione diviene il
"sal" che ritroviamo nelle parole
"salame", "salume", "salsiccia",
"salamoia", "salacca" (regionale
"saracca") e persino "bresaola". Su
quest'ultima parola, che deriva dall'unione delle radici
"bre" (cervo o, in ogni caso, ruminante) e
"sal", Ballarini racconta e chi poteva saperlo? che molti toponimi italiani, in diverse regioni, si
riferiscono all'antichissima presenza di numerose colonie di cervi: da
Brindisi a Bressanone, da Brennero a Brianza, da Brescia a
Brescello.
Sapevate che il gustosissimo salame felino ha ascendenze etrusche? Lo rileva
il nome stesso del fortunato paese in provincia di Parma, dove si produce
forse il migliore tra gli insaccati italiani. Felino, un tempo
"Felsinum", era colonia di quegli stessi estruschi che a Bologna imposero il nome di
"Felsina". Ballarini parla a lungo della mortadella, addirittura nota in
tutto il mondo come "bologna". Chi non sapeva che
l'origine del nome discende dall'impiego del mortaio, usato per triturarvi finemente con un
pestello la carne suina, può arricchire le sue conoscenze
d'antropologia gastronomica. Alla parola "mortadella", probabilmente, non è estraneo anche
il "myrtatum", la bacca verde del mirto, che ancora oggi è aggiunta alla
saporitissima, profumata, rosea e sapiente miscela di carne magra suina e
piccole candide parti di grasso.
La storia delle centinaia di salumi che rappresentano uno dei tanti
vanti della nostra cucina è raccontata con straordinaria sistematicità.
L'autore si dilunga giustamente nella storia delle origini suine e spiega la
differenza etimologica delle parole che usiamo per indicare
l'animale della cui carne, come per la musica di Verdi, non
c'è niente da gettare: "suino",
"porco", "maiale", "troia",
non tralasciando le versioni dialettali, come quella emiliana, dove
l'amico a quattro zampe, che da buon cireneo dona
tutto se stesso per la nostra ingordigia, è chiamato
"nimèl", come fosse e forse lo è
l'animale per eccellenza. Senz'altro è l'animale la cui carne,
traghettandolo oltre le carestie e la povertà del Medioevo, ha salvato dalla
fame l'uomo europeo di cui noi siamo i (degni?) discendenti. |