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Testi di Gino Adamo. Pagina realizzata da Luigi Farina Data ultima revisione: 31 Agosto 2001 |
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Per lungo tempo sarà Firenze in Italia “la capitale” non solo della buona cucina, ma anche della sobrietà: due aspetti che non sempre sono andati d’accordo, soprattutto in un’Europa, dove, quando non si muore di fame, si muore di gotta, per eccessi e stravizi alimentari. Ma Firenze è per tutto il Rinascimento anche un modello non solo di alta qualità gastronomica, ma anche di norme che stabiliscono, per la prima volta, come ci si deve comportare a tavola. A Firenze si ama la buona tavola e si creano alcune fra le ricette più gustose del mondo, ma non si perde di vista educazione e sobrietà. D’altra parte, è a Firenze che nasce la rigorosa codificazione delle buone maniere che distinguono il vero gentiluomo dal comune plebeo, e all’educazione del commensale viene dedicato un capitolo di notevole severità. E’ l’opera famosa di Monsignor Della Casa, fiorentino DOC, che dispensa consigli e raccomandazioni sul bon ton del nobile o del borghese che oltre che ricco vuol apparire anche garbato ed elegante. I fiorentini fanno colazione al mattino fra le nove e le dieci, e alla sera prima dell’imbrunire. Nella buona borghesia mercantile dell’epoca gl’inviti a pranzo s’intrecciano assai frequenti. E’ norma aurea mantenere limitato il numero dei commensali per evitare confusione: per il fiorentino il momento di mangiare è sacro, e nulla deve turbarlo. Per cui se tre convitati sono il minimo, il massimo - consiglia l’esperto - non deve mai superare i nove commensali. Preliminarmente vien fatto passare fra i commensali un bacile con acqua tiepida, per detergere le mani: poi ci si mette a tavola. Di solito la prima portata di un tipico pranzo fiorentino è costituito di bollito, una seconda, di arrosto, una terza, di frutta. Ma numerose sono anche le “erbe” aromatiche che insaporiscono i cibi, nè, infine, può mancare il formaggio pecorino. Alcuni arrosti di quel periodo sono veramente prelibati: tipico quello di maiale, che pare suscitasse l’entusiasmo dei cardinali greci riuniti per un famoso Concilio. Dalle loro esclamazioni ammirative nasce il nome di un piatto speciale: l’àrista. Il piatto succulento per eccellenza. La stagione della caccia apporta variazioni nel menù, che è inoltre arricchito da vini rinomati, fra cui il vin greco, quello di Poggibonsi, la vernaccia, la malvasia. Il più noto ritrovo di Firenze dell’epoca è l’Osteria delle Bertucce, dove le norme di Monsignor Della Casa vengono puntualmente rispettate. E’ proibito masticare rumorosamente, strofinarsi i denti con il tovagliolo, grattarsi, sputare, cacciare il naso nel bicchiere o nel piatto altrui, offrire al vicino un frutto già morso. Soprattutto occorre destreggiarsi con certi nuovi aggeggi, chiamati coltello e forchetta. Nella distinta pratica Firenze nel Cinquecento non ha rivali, è unica in Europa, dove finanche alla corte del re si continuano ad usare disinvoltamente le dita.
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L. F. Soft di Luigi Farina | |
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