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Il
rito della tranquillità - La cura del volto
di
Luigi
Farina
Pochi conoscono e
meno ancora riconoscono l'efficacia della cura
che passo a spiegare. Però è, forse, l'unica
ricetta che non delude mai. Ho voluto chiamarla
la "cura del volto", perché non c'è chi non
abbia memoria di un gruppo non molto numeroso di
visi che, a vederli, provocano allegria.
Il rito della
tranquillità è il seguente. Due sedie e un
tavolo, un paté di fegato di volatile, qualche
fetta di pane fresco integrale tostata, una
bottiglia ghiacciata di vino Sauternes, e di
fronte a te il viso dell'amico, dell'amica, il
volto che conosci, uno di quelli che al solo
vederli ci restituiscono la calma.
Il paté, agli
amici, ricorda che sono carne. Il pane non fa
dimenticare loro che tutto nasce dalla terra e
tutto vi ritorna. Lo spirito del vino Sauternes
ravviva quello che più ci tiene vivi: la
possibilità di unire due pensieri.
Tratto da "Trattato
di culinaria per donne tristi" di Hèctor
Abad Facioline edito da Sellerio Editore
Palermo
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A
pranzo senza appetito
di
Luigi
Farina
Entrati
nell’osteria, si posero tutti e tre a tavola; ma
nessuno di loro aveva appetito. Il povero Gatto,
sentendosi gravemente indisposto di stomaco, non
poté mangiare altro che trentacinque triglie con
salsa di pomodoro e quattro porzioni di trippa
alla parmigiana; e perché la trippa non gli
pareva condita abbastanza, si rifece tre volte a
chiedere il burro e il formaggio grattato.
La Volpe avrebbe
spelluzzicato volentieri qualche cosa anche lei;
ma siccome il medico le aveva ordinato una
grandissima dieta, così dové contentarsi di una
semplice lepre dolce e forte con un leggerissimo
contorno di pollastre ingrassate e di galletti
di primo canto.
Tratto da "Le
avventure di Pinocchio" di Carlo Collodi
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L'Acquavitaro
di
Luigi
Farina
Una figura
familiare per le strade della città era quella,
dell'"acquavitaro". In un lungo grembiale blu se
ne stava accanto a un tavolo costruito apposta
per sorreggere conficcati in una specie di
reticolato dei lunghi bicchieri. L'acqua era in
un vasto orcio di terracotta. Con una destrezza
sorprendente aveva modo, bilanciandosi su up
ginocchio, di riempire i bicchieri uno ad uno,
senza mai versarne una goccia. Da una storta
schizzava due o tre gettí di "zambù" e la bibita
era pronta. Il tavolo era dipinto a vivi colori
con decorazioni di rame e un mazzo di fiori di
stagione. I palermitani non erano gran bevitori,
ed era raro vedere un ubriaco per la strada,
però, specie in tempo d'estate, erano grandi
consumatori di limonate, aranciate, latte di
mandorla e semplicemente acqua e "zambù, che è
un derivato dell'anice.
Tratto da "Estati
felici" di Fulco di Verdura Edizione
Novecento
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L'odore delle mele
di
Luigi Farina
Entriamo in
cantina. E subito ci colpisce. Le mele sono lì,
allineate sui graticci - cassette da frutta
capovolte. Non ci pensavamo. Non avevamo nessuna
intenzione di lasciarci sommergere da un tale
spleen. Ma è inutile. L'odore delle mele è
un'onda travolgente. Come avevamo potuto fare a
meno per tanto tempo di quest'infanzia aspra e
dolce?
Devono essere
deliziosi i frutti avvizziti, di quel falso
prosciugamento dove in ogni grinza sembra
essersi insinuato un sapore intenso. Ma non
abbiamo voglia di mangiarli. Non vogliamo
trasformare in sapore identificabile il potere
fluttuante dell'odore. Dire che hanno un buon
profumo, un profumo forte? No, c'è ben altro...
Un odore interiore, l'odore di un sé migliore.
Lì c'è racchiuso l'autunno della scuola. Con
l'inchiostro blu verghiamo sul foglio pieni e
filetti. La pioggia batte sui vetri, la serata
sarà lunga...
Ma il profumo
delle mele non è solo il passato. Si pensa al
tempo che fu per via della portata e
dell'intensità, di un ricordo di cantina umida,
di solaio buio. Ma è da vivere lì, da tenere lì,
in piedi. Abbiamo alle spalle l'erba alta e
l'umidore del frutteto. Davanti, come un respiro
caldo che si sprigíona nell'ombra. L'odore ha
preso tutti i marroni, tutti i rossi, con un po'
di acido verde. Lodore ha distillato la
morbidezza della buccia, la sua impercettibile
rugosità. Abbiamo le labbra secche, ma sappiamo
che questa sete non deve essere placata. Non
succederebbe niente a mordere la polpa bianca.
Bisognerebbe diventare ottobre, terra battuta,
volta di cantina, pioggia, attesa. L'odore delle
mele è doloroso. E' l'odore di una vita più
intensa, di una lentezza che non meritiamo più.
Tratto da "La
prima sorsata di birra e altri piccoli piaceri
della vita" di Philippe Delerm edito
da Feltrinelli
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I
nove gradini del bere
di
Luigi Farina
l filosofo Apuleio
Medaurense scriveva:
"nove sono i
gradini del bere:
primo bicchiere:
giova alla salute
secondo bicchiere:
giova al buonumore
terzo bicchiere:
giova al piacere
quarto bicchiere:
apre le porte dell'ebbrezza
quinto bicchiere:
favorisce l'ira
sesto bicchiere:
fa scoppiare le liti
settimo bicchiere:
fa emergere il furore
ottavo bicchiere:
fa pervenire al sonno profondo
nono bicchiere:
apre a grave malattia"
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La
cucina degli Etruschi
di
Luigi
Farina
La cucina degli
Etruschi si basava innanzi tutto sul farro la
cui minestra era molto diffusa in tutte le
classi sociali, così come basilare era l'uso dei
legumi come lenticchie, ceci, fave. Si faceva
anche uso di carne bovina, ovina, suina e di
cacciagione, soprattutto di cervi e cinghiali
che venivano cucinati alla brace su treppiedi e
graticole o in grandi calderoni di bronzo ed
erano riservati alle classi più abbienti.
I banchetti erano
vere e proprie cerimonie che testimoniavano
l'appartenenza sociale e non doveva mancare il
pesce, visti i ritrovamenti di ami e di reti; ma
certamente questo alimento era meno diffuso
rispetto alla carne perché la disponibilità era
decisamente inferiore.
Diffusissimo era
l'uso del latte e dei suoi derivati, visto che
l'allevamento degli ovini, caprini e bovini era
intenso, specialmente nella parte meridionale
dell'Etruria.
L'alimentazione,
in tutte le classi sociali, veniva arricchita
con verdura e frutta che nella buona stagione
veniva seccata e perfino esportata verso la
Gallia. I condimenti erano prevalentemente di
origine animale, ma a partire dal secolo VII
a.C. veniva prodotto anche l'olio d'oliva che
era usato principalmente nell'industria degli
unguenti e dei profumi, ma anche nella
preparazione dei cibi.
La bevanda di
base, l'unica di cui ci sono giunte
testimonianze, è il vino, proveniente dalla
Grecia nel corso del VIII secolo a.C., ma già
dal secolo successivo prodotto in tutta l'Etruria
e perfino esportato in varie regioni del
Mediterraneo.
Questo vino era
fortissimo e per essere essere bevuto, doveva
essere mescolato con abbondante acqua.
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